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Facebook, un modo per non comunicare

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Facebook è la moda del momento, una delle solite “malattie” contagiose che prima si propagavano irrefrenabili nell’aria, e che invece da qualche tempo si diffondono, ancora più globalmente, tramite la rete internet. Un po’ come sembrava dovesse avvenire con il morbo della mucca-pazza, l’aviaria o l’influenza suina, con la differenza che i primi si sono rivelati solo pochi disgraziati casi isolati, mentre per Facebook si può realmente parlare di pandemia universale.

Ci siamo “caduti” un po’ tutti.
Ci si iscrive per vari motivi:
·        può essere l’amico che ti coinvolge perché ritiene di poter riprendere un rapporto cordiale con te, dopo aver detto peste e corna sulla tua persona, sui tuoi familiari a cascata fino alla settima generazione, e dopo averti sbattuto in faccia (face, appunto) svariate razze di pesce, dallo scorfano al “porco di mare”.
·        Puoi essere coinvolto dal collega di ufficio che ha creato il GruppoQuelli che vorrebbero strangolare il direttore”, al quale tu aderisci con entusiasmo, risultando fra i più attivi nel postare le tue minchiate ed ottenendo così, in poco tempo, una delle più belle ed articolate lettere di licenziamento che la storia sindacale abbia mai annoverato nei suoi archivi, fin dai tempi delle Corporazioni nell’Impero di Diocleziano.
·        Puoi registrarti per cercare la tua prima fidanzatina della scuola media, e scoprire magari che è diventata una “virago” di 120 Kg. A quel punto, non riesci più a scrollartela di dosso e ogni quindici minuti lei posta sulla pagina di Facebook una serie infinita di cuoricini che ridono, visibili a tutti i tuoi 2.523 “amici” che si spanciano dalle risate alle tue spalle. Tua moglie invece, dopo aver scoperto la riesumazione-web della tua spasimante, come nel film “La mummia colpisce ancora”, decide di cornificarti col pizzicagnolo sotto casa…almeno così il salame è assicurato.
 
 
Insomma sembra che registrarsi su Facebook sia diventato pressoché un obbligo, non è più un’opportunità.
Ma ci siamo mai chiesti a cosa serve?
Come Vasco Rossi, vogliamo trovare un senso a questo Facebook, anche se questo Facebook un senso non ce l’ha?
Vogliamo rifletterci su, prima di sentenziare che sia proprio una necessità?
 
 
Vi propongo un test:
  • Ti rende felice poter leggere accanto ad una frase di un emerito sconosciuto, che hai trovato per caso su internet e postato d’urgenza sul tuo spazio Facebook, che “a Pasquala piace quell’elemento”…sempre nell’ipotesi che l’elemento che piace a Pasquala sia la “tua” frase, e non qualcos’altro che magari la povera Pasquala non vede ormai da troppo tempo?
  • Ti esalta essere “taggato” in una foto e, dopo aver ricevuto centinaia di inutili e-mail tutte uguali che ti comunicano questo particolarissimo evento, scoprire che taggato vuol dire solo che il tuo nome è stato inserito, insieme ad altri 228, fra le chiavi di ricerca (tag) di una foto con un broccolo OGM che ammicca fluorescente accanto ad una smunta lattuga biologica?
  • Sei proprio soddisfatto quando un tizio, che ti ha chiesto ed ottenuto “amicizia”, in quanto fratello del cugino dell’inquilino del collega d’ufficio di un parente acquisito di tua sorella, ti anticipa ufficialmente alle ore 21,30 di voler fare un bidé con acqua fredda prima di andare a dormire, chiudendo così la sua pubblica giornata in rete?
  • Sei contento quando, dopo aver pubblicato la prima stronzata che ti è venuta in mente, ricevi attestazioni di affetto e simpatia del tipo: “Ih..ih..ih..!!” oppure “ah..ah..ah!! o infine “Bravo!!”.
 
Se a tutte queste domande hai risposto sempre “”, senza pensare che per comunicare funzionano molto meglio la posta elettronica, Messenger, le chat, e soprattutto un bel “tête-à-tête” o una riunione fra amici (quelli veri)…allora va pure!…ma va Facebook!

Autore dell'articolo: Sergio Figuccia

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