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Malcostume, mezzo gaudio

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Forse per cultura, forse per folklore, ma di certo è nel DNA che bisogna andare a scavare. Il popolo palermitano, a causa delle dominazioni subite nei secoli, di variegata estrazione geografica e storica, ha strutturato il proprio DNA in maniera del tutto difforme dagli altri esseri umani, ma non solo dagli altri simili italici, anche dagli stessi siciliani “esterni” alla conca d’oro.

Sicuramente avrete presente lo schema di una molecola di acido desossiribonucleico. L’acido desossiribonucleico è un polimero i cui monomeri sono detti nucleotidi. Ogni nucleotide è formato da una base azotata legata ad uno zucchero a cinque atomi di carbonio a sua volta legato ad un gruppo fosforico. Capito? Bene. L’immagine di questa molecola è una specie di spirale sinuosa come una danzatrice del ventre, che si attorciglia su se stessa con soavi movenze e “ancheggiamenti di bacino”, un belvedere, insomma. 

La molecola del DNA del palermitano è strutturata in maniera completamente diversa. Anche difficile da spiegare a parole. Per dare un’idea della consistenza di questa molecola provate a immaginare quelle bancarelle abusive che ci sono per strada, circondate da nugoli di persone a tutti gli orari, soprattutto nelle prime ore pomeridiane, “sutt’u picu ru suli”, che si individuano anche a chilometri di distanza, seguendo i segnali di fumo o, più semplicemente, quel classico odore di barbecue (della serie: Va’ dove ti porta il naso).

Per farla breve, la molecola di DNA del palermitano altro non è che una “stecca di stigghiola”. Ed ecco anche spiegati i limiti geografici di appartenenza di codesta nobile stirpe.

Fatta questa breve ma doverosa premessa, appare chiaro come i comportamenti del palermitano siano riscontrabili esclusivamente nel solo territorio in cui il palermitano stesso vive e opera. Detti comportamenti sono, pertanto, “figli” del DNA, quindi della “stigghiola” che c’è in ognuno di noi.

Quindi: non scandalizziamoci se “uno di noi” si ferma, per esempio, in farmacia, compra i medicinali e, rientrato in macchina, approfittando della semioscurità, lascia scivolare il sacchetto di immondizia, che portava a spasso da ore, tra il marciapiede ed il ciglio della strada pur avendo il cassonetto sotto casa, ma siccome quando era uscito da casa erano le sedici e trenta e non si poteva gettare, lo aveva portato a spasso e l’aveva dimenticato ma quando se l’era ricordato sapeva che quando arrivava a casa era troppo tardi e non si poteva gettare più…

Perché il palermitano, sembra che non rispetti le regole, invece le rispetta, eccome. Se l’orario di raccolta dei rifiuti è dalle ore 17,00 alle 20,00, il palermitano, qualora non riesca a gettare il rifiuto nel cassonetto entro quella fascia oraria, non lo getta più… nel cassonetto, lo getta per strada! Ma gli vuoi contestare che non rispetta gli orari?

E il mezzo gaudio? – L’indomani mattina, lo stesso palermitano, lo vedi al bar, “santiare” (perché la città è una pattumiera, i politici sono tutti dei ladri, il sindaco è un farabutto, zamparini accatta e binni), con la compiacenza dei suoi consanguinei – di stigghiola – dei quali uno ha posteggiato con le ruote sulle strisce pedonali, l’altro in un posto riservato ai disabili, un terzo appena uscito da un ufficio postale che racconta entusiasta come ha scavalcato una fila di trenta persone, un quarto con il motorino sul marciapiede, un quinto in tripla fila, ma ha messo le quattro frecce (“ma che ci suoni, non le vedi le frecce accese?”).

Perché con le frecce accese, caro cittadino palermitano, si acquisisce il diritto internazionale di parcheggio “accomegghè e unniegghè” (che non sono calciatori come Treseghè o dittatori come Pinoscè). Ed ormai da oltre vent’anni, quindi per usucapione, non viene neanche più sanzionato. La differenza, caro cittadino palermitano, la fa la stigghiola.

 

Autore dell'articolo: Carlo Ferlisi

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