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L’Aquila è ferita. Non vola più

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Solo tristezza. L’unico stato d’animo che emerge dai pensieri sportivi che in una mente colma di preoccupazioni giornaliere, di illusioni, di speranze, di promesse, riesce a ritagliare dal quadro “apocalittico” che la vita quotidiana ci riserva oggi.

Qualche tempo fa, ma sembra trascorso un secolo, si viveva con emozione e trasporto la vigilia di ogni gara, se non per tutta la settimana, in quanto si era consapevoli che la squadra avrebbe “comunque” dato spettacolo. Il tutto condito da ottimi, continui, risultati. Ogni tanto ci scappava qualche sgambetto, il passo falso, che ti rovinava la domenica ma non alterava la classifica.

Oggi, e sembra sempre trascorso un secolo, è calato il sipario su uno spettacolo teatrale per il quale gli attori avevano concesso tante repliche e tanti “bis”. Forse troppi. Gli spettatori si erano “fatti il palato”, si erano spellate le mani, i buongustai. Oggi, tutto questo non c’è più.

Voglio volare alto. Le colpe ed i colpevoli li conosciamo. E proprio volando alto  ho incontrato un’aquila ferita, seminascosta su un costone roccioso: ho l’impressione che non voli più. E’ spaventata, debole, priva di forze, le manca lo slancio per tentare di spiccare il volo. La ferita può guarire, la paura no.

Col tempo la ferita guarirà. A lei la scelta di provare a volare. Se riuscirà a volare nuovamente, anche con difficoltà e con enormi sforzi, si salverà ed avrà modo e tempo per tornare ad essere la regina del cielo. Se, pur provando a volare, dovesse cadere a terra, a quel punto è molto difficile che si possa salvare. A terra, da soli e feriti, ci sono troppe insidie, molta indifferenza ed è più facile essere schiacciati che soccorsi, raccolti, curati.

Caro Palermo, c’è parecchio buio all’orizzonte. Chi ti vuole bene sa che quest’anno le speranze di disputare un campionato tranquillo sono poche; le certezze, negative, sono invece tante.

Ma non è l’ora del funerale, con tutti a piangere attorno al gelido, vecchio, marmo della tomba gentilizia, tra ghirlande e cuscini. Se ti è rimasto un barlume di orgoglio, Caro Palermo, devi iniziare proprio da lì. Un animale ferito può ancora far male, prima di esalare l’ultimo respiro.

L’asticella è alta, molto alta, ci vuole un colpo di reni. Provaci.

Autore dell'articolo: Carlo Ferlisi

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