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La truffa di stato sulle lauree brevi

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Abbiamo ricevuto una mail da un gruppo di nostre lettrici con la quale viene evidenziata la sconcertante “alzata di spalle” che le istituzioni dell’inqualificabile stato italiano fanno in merito alla validità delle “lauree triennali”.

Condividiamo perfettamente la rabbia delle neo-dottoresse ma, non avendo ovviamente alcun “potere” in merito per poter “imporre” all’arroganza e stupidità istituzionale la sacrosanta efficacia professionale di un corso di studi universitari, peraltro “partorito” dalle stesse teste-vuote che poi ne hanno “decretato” la scadente valenza, possiamo solo dirvi come la pensiamo (e fino a oggi almeno questo ci è permesso grazie al diritto di libertà di pensiero non ancora revocato dalla nostra Costituzione).

Cominciamo col dire che la laurea triennale italiana è riconosciuta, ai fini dell’accesso a specifiche professioni regolamentate, nell’Unione europea e nei paesi dell’Associazione europea di libero scambio, ma anche nella Repubblica di San Marino e nello Stato della Città del Vaticano, in quanto firmatari della convenzione di Bologna.  Il dichiarare “candidamente” (e questo da parte di TUTTI gli organi pubblici di settore della nostra nazione, quasi fossero “legati” da un accordo segreto imposto dalle alte sfere ministeriali per permettere solo dichiarazioni comuni concordi e coerenti le une con le altre) che la laurea triennale “non vale nulla”, appare solo una “convenzione” istituzionale italiana, contraria quindi al resto d’Europa, strumentale a “costringere” obtorto collo i laureati della laurea breve a iscriversi alla cosiddetta “specialistica” di due anni, facendo scattare i soliti indegni business economici in favore dello stato sciacallo e della casta degli “amici degli amici” (quindi altre elevatissime tasse di iscrizione, “pagnotte” per gli inutili quiz di accesso, ecc. ecc.).

La possibilità di utilizzare la laurea triennale per accedere ai livelli più alti del mondo del lavoro viene quindi artatamente “preclusa” per scippare altri soldi dalle tasche dei cittadini italiani, ritenute ancora non sufficientemente “sanguinanti” per essere esonerate da queste “truffe” istituzionali, e la comprova è il fatto stesso che le materie dei due anni “aggiuntivi”, in molte facoltà, sono praticamente veri e propri cloni degli stessi insegnamenti già superati nella triennale.

D’altra parte appare evidente che non ha alcun senso la creazione di uno “step” dopo tre anni di studi in assenza di rilascio di un titolo con valenza professionale, per quanto di livello inferiore; tanto valeva lasciare le cose com’erano con il “vecchio ordinamento”, non vi pare?

Purtroppo il “disegno” per prendere in giro gli italiani, siano essi studenti, sia lavoratori o pensionati, è tanto esoterico e infame che solo una rivoluzione potrebbe sovvertirlo in qualche modo, ma per quanto riguarda la laurea breve si potrebbe cominciare con una class action nei confronti dello stato italiano da segnalare, in caso di mancato riscontro in campo nazionale, alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

La triste realtà è che gli anni a venire ci vedranno costretti a camminare sempre a braccetto di interi stuoli di avvocati e, per giunta, di alto profilo professionale. Parte dello stato trama continuamente contro i propri cittadini, che quindi devono organizzarsi per difendersi in qualche modo.

Pubblichiamo di seguito uno stralcio della lettera delle nostre lettrici.

 

<< Siamo un gruppo di laureate in Scienze dell’Educazione (classe di laurea L19 )presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. Rivolgiamo il nostro grido di aiuto a VOI perché siamo stufe di dover vedere la nostra laurea calpestata, stufe di veder chiudere porte in faccia, stufe di dover vedere laureate/i in altre discipline umanistiche, o semplicemente diplomate/i, fare il nostro mestiere per il quale abbiamo investito denaro e sacrifici.  Il nostro corso di laurea ha vari sbocchi occupazionali:

  • insegnante di asili nido e animatore nei servizi educativi per l’infanzia e la prima adolescenza;
  • educatore di comunità presso case-famiglia, carceri, case per gli anziani, centri di incontro e di impegno contro il disagio minorile, centri di accoglienza temporanea;
  • operatore nei servizi culturali e nelle strutture educative, come biblioteche, mediateche, ludoteche, musei;
  • formatore, istruttore o tutor nelle imprese, nei servizi, nelle pubbliche amministrazioni, nell’ambito della selezione delle risorse umane e della formazione professionale tout court.

I piani di studio sono strutturati in modo da consentire l’accesso anche alle lauree magistrali per l’insegnamento. Pertanto volevamo segnalarvi e aver chiarezza su una questione che ci sta molto a cuore, soprattutto per il nostro futuro lavorativo.  

Arriviamo al dunque: L’ente Ripam ha indetto un concorso per il comune di per 185 posizioni lavorative tra cui 94 posti per istruttori educativi. Il bando di concorso prevede come requisito d’accesso la laurea in Scienze dell’Educazione cosa che va in contraddizione in ciò che troviamo scritto nelle FAQ datate il 17 marzo 2015. Nelle suddette, infatti, si afferma che SOLO la laurea quadriennale in scienze dell’educazione è un requisito di accesso (oltre al diploma psicopedagogico e lauree in psicologia, sociologia, ecc, ecc.)
La quaestio che molti/e educatori/educatrici è semplice. Non riusciamo a capire il perché della nostra esclusione da questo tanto atteso concorso. Il nostro percorso di studio ci ha formate sia didatticamente che praticamente (attraverso attività di tirocinio effettuate durante i nostri studi) a questa professione.  Il Presidente APEI (Associazione Pedagogisti Educatori Italiani) Dott. Alessandro Prisciandaro con la collaborazione della Dott.ssa Rosalba Monaco, referente APEI Comune di Napoli, in visione della nostra perplessità e, lasciatemi passare il termine, SCHIFO dinanzi a questa ennesima doccia fredda, hanno contattato la segreteria del Ripam chiedendo delucidazioni in merito.

 ———omissis——— La risposta è stata negativa e potete immaginare come ci possiamo sentire dinanzi a questo scempio. Ma non è finita qui. Per aver maggiori delucidazioni alcune colleghe si sono recate all’Università per richiedere alcune informazioni inerenti alla nostra classe di laurea e chiedendo, inoltre, anche il perché di questa esclusione.

——-omissis——– Ci è stato risposto: “queste solo le leggi, non è l’università che decide un titolo a cosa serva o non serva o se sia valido i meno. Lo decide il ministero e l’università non può farci nulla.” 

Questo è quanto. Volevamo, inoltre far presente che in comuni come Firenze, Torino, Pisa (e tanti, tanti altri), la nostra laurea viene indicata come titolo d’accesso preferenziale. 

Assunta Pilato Marianna de Martinis Nunzia Cassandro e Alessia Rosa, portavoci di tutte le laureate e studentesse in Scienze dell’Educazione. 

P.S: La protesta sbarca anche sul web: nel corso degli ultimi giorni tutti i laureati e gli studenti in Scienze dell’Educazione stanno raccogliendo firme affinché il titolo conseguito possa essere riconosciuto. >>

Autore dell'articolo: admin

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