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Balasso e il parallelepipedo

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Questo mediometraggio (circa 20 minuti) di Natalino Balasso è una delle più simpatiche, intelligenti e sagaci critiche sociali che abbiamo trovato in rete negli ultimi anni.

Vorremmo anticipare tuttavia che il filmato, intitolato “Balasso e il parallelepipedo”, non è proprio “per tutti”.
Certe metafore, alcuni ossimori, parte dei giochi di parole o delle battute falsamente estemporanee, potrebbero apparire ai più delle banali trovate di umorismo demenziale, ma non è così.
Le frecciate di Balasso contro la pubblicità, i luoghi comuni, la falsità dei media, le parabole fantascientifiche di certa ipnotica religione (vedere anche i celebri sketch di “Quelo” proposti anni fa da un travolgente Corrado Guzzanti), colpiscono fino in fondo, dimostrando che la vera satira sociale, quella più acuta e intelligente, non deve risultare “necessariamente” ripugnante, insulsa e stupida come sostiene “charlie hebdo”.
Magari anche in questo caso molti non la comprenderanno (al riguardo c’è comunque un eloquente testo di presentazione griffato dallo stesso Balasso che alleghiamo di seguito al video), ma in ogni caso non c’è nulla di repellente ed offensivo.

<< Ora che è passato un po’ di tempo penso di poter dire qualcosa sul mio ultimo video: “Balasso e il parallelepipedo”. Mi sono letto un po’ di commenti su yt e devo dire che è interessante notare come l’arte abbia la capacità di dire un sacco di cose che gli artisti non vogliono dire. Dice bene chi dice che l’opera, una volta che se n’è uscita, non appartiene all’artigiano che l’ha costruita, ma a chi la “consuma”, che ne fa l’uso che più gli aggrada. Ed è bene che sia così. Non stupitevi se pongo la cosa chiamata arte e la cosa chiamata artigianato sullo stesso piano, perché secondo me lo sono.
Penso di dover “parlare” di ciò che scrivo perché noto che molti sono convinti che i video di telebalasso siano improvvisati, ma in realtà ogni minima virgola è scritta e pensata. Così stanno le cose, non è un vanto, è una constatazione.
Mì spiace solo che qualcuno (molti) nell’ansia scolastica di riassumere un tema, di taggare, di dare un titolo alle cose del pensiero, si affretti a dire che lo spot sull’auto è la solita tirata contro la pubblicità, che il dibattito televisivo è la solita tirata contro la televisione, che il dialogo al call center è la solita tirata contro i telefonici eccetera. Mi sono abituato, leggendo le poche critiche che mi va di leggere sul teatro a una certa banalizzazione e mi sono convinto che banalizzare il racconto di un’opera per dire che è banale (e quindi sentirsi superiori) non banalizza l’opera, banalizza il racconto. Della mia prima Cativìssima scrivevano che era uno spettacolo contro la Lega. Perché poi dovrei scrivere solo cose contro qualcuno non l’ho mai capito.
Soprassediamo. Se proprio volessimo trovare un tema, o un filo conduttore, direi che il filo conduttore è il frame, inteso in senso un po’ più superficiale rispetto a ciò che dice Lakoff. Non spaventatevi, come tutte le cose intellettuali, è molto più semplice di quanto sembri. Il discorso iniziale sul parallelepipedo, con un’osservazione quasi etologica sugli animali domestici, quali noi siamo, imprime una linea a tutto il video: la nostra visione del mondo è ottimista o pessimista, positiva o negativa, a seconda di riflessi stimolati dal ricordo. Le varie fasi del video vanno a raccontare alcuni momenti nei quali noi scambiamo la successione delle fasi del rito con la sostanza del rito. Quando vedo uno spot su una macchina vengo bombardato di stimoli che servono a creare dei riflessi ai quali reagirò. La macchina di lusso è presentata sempre come un oggetto maschilista che serve a chiavare e non è importante che la tecnologia sia utile, quel che conta è che sia innovativa e stupisca destando invidia. Il senso del giocattolo. Questo frame stimolerà in me reazioni particolari, nelle quali i contenuti (cos’è una macchina? Come mi fa spostare? Davvero troverò solo strade deserte? Davvero tutto questo surplus di tecnologia mi “serve”?) passano in secondo piano sovrastati dal luccichio dei giocattoli e dagli sguardi scopabili delle fighe. La cornice diventa più importante del quadro. Ma questo ci fa interrogare anche quando le cornici sembrano solide e affidabili: davvero ha un senso spendere 80 euro per una bottiglia di vino? E se uso gli stessi gesti posso farmi oagare lo stesso prezzo per una bibita gassata? Cos’è il “valore” di una cosa? Basta una cornice? Pare di si. Nei negozi della Apple, gli accessori sono sotto chiave come in gioielleria e così, dopo che ti hanno aperto la vetrina e ti hanno chiesto i tuoi dati per registrarti con la scusa della fattura, sei tu che devi essere affidabile non più loro, perché la Apple “dichiara” di esserti superiore per il semplice fatto che tu vorresti rubare un caricatore. Ecco perché il caricatore, cioè un filo con due circuiti, costa 50 euro.
Allora chi sa parlare in televisione è un politico migliore di chi è impacciato, si guadagnano voti semplicemente “vincendo” un dibattito televisivo, che non significa fare politica, ma semplicemente parlarne; uno scienziato impacciato sarà considerato un ciarlatano, mentre il ciarlatano che parla del quarto cielo e dell’occhio di Dio sarà considerato un luminare solo perché è abituato a stare in televisione e le luci non gli dànno fastidio. Un centro assistenza serve a far quadrare la propria cornice, non assiste, non gli interessa, non lo puoi raggiungere, è in un paese lontano, qualsiasi problema ti faccia arrabbiare è trascurabile con la frase: “Non dipende da me”, nessuno vuole essere più respons-abile, non siamo più abili a rispondere dei nostri gesti. La beneficenza non serve più a conseguire uno scopo, tant’è che quando lo fa (cioè quando fa ciò per cui esisterebbe) viene lodata come esempio di onestà. Il motivo per cui facciamo i gesti non è più importante, la cornice ha preso il sopravvento. Viviamo la nostra vita come se ci preparassimo un caffè con il veleno al posto dell’acqua e la sabbia al posto del caffè, quel che conta è il gesto, anche quello intellettuale, e allora riempiamo i nostri pensieri di frasi fatte, che non sono altro che cornici: leggo un buon libro davanti al fuoco (già, ma cos’è un “buon libro” per te? E perché dev’esserci il fuoco? Non posso leggerlo davanti all’acqua?) bisogna essere se stessi (già, ma chi sei?), mi piace viaggiare (tipo rappresentante?) e allora se ci dicono che abbiamo detto una fregnaccia rispondiamo che guardano il dito e non la luna e allora la volpe e l’uva e allora sono responsabile di quel che dico e non di quel che capisci, tutte cornici d’effetto che abbiamo visto in giro e delle quali non abbiamo compreso appieno il contenuto. Ma ovviamente, tutto questo è solo come la vedo io.>> F.to Natalino Balasso

Autore dell'articolo: Sergio Figuccia

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