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Gli egoisti del XXI secolo

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Nel periodo natalizio dovremmo essere tutti più buoni e generosi ma voglio parlarvi di egoisti.

Nel linguaggio corrente è colto da egoismo chi non vede se non il proprio interesse, il proprio vantaggio, senza considerare il danno che a causa sua subiranno altre persone.

 L’egoista non ha sentimenti sociali, affermando se stesso contro tutti. Questo è il concetto volgare dell’egoismo, sembra semplice, ma quando diamo dell’egoista a qualcuno gli attribuiamo tacitamente “angustia di mente e di cuore”, ripugnante la seconda, che è ottusità di sentimento di fronte al dolore altrui, perdonata e ogni tanto derisa la prima.

L’egoismo pratico è spesso futile perché persegue inezie e volendo il troppo perde il poco, sbagliando i calcoli; non riconoscere, per esempio, il sacrosanto diritto alle ferie al lavoratore, potrebbe farlo ammalare!

Kant, nella sua “Antropologia pragmatica”, distingue tre forme d’egoismo: intellettuale, estetico, morale.

Nell’intellettuale la sua opinione (è tipico in qualche odierno dirigente) è superiore a qualsiasi critica e non bisogna confrontarla a quella degli altri.  Si “avvitano” quasi sul loro successo (quasi sempre frutto del lavoro dei subordinati),  facendo “virtuosismo”, denso di elementi esteriori e d’effetto ma poco concreto, e restituendo poco o nulla di quella ricchezza che è frutto del lavoro di squadra e mai del solo egoista.

L’estetico invece giudica secondo il suo gusto senza influenze esterne. E’ molto sicuro di sé (troppo!). Ha una grande fiducia nelle sue “innate” capacità di giudizio (al limite della presunzione!) e non permette nessuna influenza delle persone che lo circondano (ci possono essere però influenze “contagiose” a cui non si può dire di no).

Dall’alto del suo egoismo estetico dispensa sani consigli e guai a chi supinamente non li esegue. Il malcapitato che non “esegue”, o non si “allinea” ai suoi concetti dominanti, provocherà nell’egoista un profondo stupore e si trascinerà in situazioni estremamente complicate. (un esempio significativo di questa forma è riscontrabile in molti personaggi che si muovono negli ambienti dei media e della comunicazione in genere, o i cosidetti “opinionisti” o i “critici d’arte”).

L’egoista morale mette al centro la sua individualità, rifiutando ogni concetto superiore di dovere (tanto ci pensano gli altri…). Il suo tornaconto diventa il fine supremo e giustifica ogni sua condotta anche la più censurabile.

Spesso fa uso di menzogne pur di difendere la sua individualità da qualsiasi ingerenza. In una campagna commerciale, per esempio, gli scarsi risultati saranno sempre colpa degli altri, non ammetterà mai le sue lacune, le sue errate previsioni, l’incapacità di programmare e coordinare.  La conseguenza è terribile, creerà insofferenza e diffidenza: lavorare con lui diventa impossibile!

In estrema sintesi possiamo affermare che l’egoista intellettuale è testardo, quello estetico è bizzarro, quello morale è gretto ed è il più pericoloso.  Dobbiamo però distinguere tra l’egoista, che non sa vivere senza prevaricare gli altri (nelle mura domestiche invece sono altri che prevaricano…), e chi per uno scopo importante sacrifica gli altri.

Più semplicemente: c’è una bella differenza tra l’egoismo stupido d’Arpagone e quello eroico di Napoleone (purtroppo abbiamo maggiori esempi del primo tipo). Aristotele sosteneva che l’amore per se stesso, tipico nell’egoista, nella giusta misura è un bene per la società perché eleva l’individuo.

Non amare se stessi è inerzia ed apatia (in azienda non servono). Perfezionare la personalità, sviluppare le attitudini, affermarle è un dovere sociale. In una parola, “l’ambizione” senza vanità, senza egoismi, è un bene.  Il lavoro, è fatto di progetti ambiziosi , diamo ai lavoratori i giusti incentivi (economici e di carriera) per non sentirci troppo egoisti.

Il problema è che le aziende, perseguendo solo ed esclusivamente il profitto, perdono di vista il benessere dei lavoratori.

Accade, purtroppo, anche in alcune famiglie dove i genitori “rispettano” i loro figli non per quello che sono ma in modo proporzionale alle aspettative che di essi hanno.

<< Non avrai il massimo dei voti? Allora non ti comprerò il ciclomotore, anche se sarai promosso>>.

Nelle aziende: << Non hai raggiunto l’obiettivo commerciale (che ti ho imposto e magari impossibile da raggiungere anche se sei un genio dell’economia e ti sei impegnato con tutte le tue forze)? Allora non ti “amerò”>>; questa forma di destituzione provoca nell’“escluso” ansia e depressione.

Ansia, perché ogni individuo cerca sempre di adeguarsi alle aspettative altrui (familiari prima di tutto), anche ignorando le proprie esigenze, alla ricerca vana di procacciarsi quell’ammirazione che sarà, badate bene, “dovuta” solo sulla base della “quantità” (in pieno regime di “stato del profitto”) non della “qualità” del lavoro.

Depressione, perché si conduce una vita che non è la nostra, replicando delle direttive “commerciali” in cui non crediamo. Così risulta praticamente impossibile infondere certezza ai clienti su prodotti in cui noi stessi non crediamo. Una vera e propria alienazione.

Oscar Wilde diceva che “l’egoismo non consiste nel vivere come ci pare, ma nell’esigere che gli altri vivano come pare a noi”.

Le aziende, oggi più che mai, “dettano” la nostra vita, proviamo tutti insieme a vivere come “ci pare”.

Autore dell'articolo: Giuseppe Angelini

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