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Lo spread a 145, ma noi siamo sempre in alto mare

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Allora era vero! Allora non eravamo ignoranti e populisti nel pensare che lo spread era tutto un bluff!

Ci hanno riempito la testa e triturato i neuroni comunicandoci quotidianamente, e per un periodo anche più volte al giorno, l’andamento di questo maledetto indice spuntato improvvisamente dal nulla nel 2010.

Dalla fine del primo decennio, e fino al governo Letta, soprattutto durante il governo berlusconi e il regime euro-fiscal-dittatoriale di monti (solo anno 2012), lo spread è impazzato sui media nazional-popolari come fosse una piaga biblica.

Altro che cavallette, mosche o tempeste di sangue! Lo spread è diventato in questi anni una cappa di piombo sulle nostre teste, scandendo i tempi della crisi economica, quasi fosse un metronomo intento a misurare il ritmo della marcia funebre composta, in “disonore” dell’economia italiana, dall’unione valutaria europea e dal fondo monetario internazionale.  E’ stato il “de profundis” all’Italia, ululato a “gran voce” dai media, collusi col sistema globalizzante, che ha voluto a tutti i costi sacrificare, sull’altare del dio euro, le economie dei paesi del vecchio continente più deboli, corrotti e disponibili a perdere l’autodeterminazione nei confronti di una gestione “centrale” dell’europa di tipo filo-tedesco.

E’ stato in sostanza un alibi tendente a dimostrare, alle masse popolari “ignoranti e credulone”, che occorrevano continui sacrifici economici (solo per le classi più povere, però!) per coprire i debiti accumulati dalle vecchie gestioni amministrative del secolo scorso.

Occorreva quindi generare un nuovo “kraken(n.d.a.:mostro marino della mitologia nordica) pronto ad assalire i popoli mediterranei dell’unione (Grecia,Italia e Spagna) per divorarne definitivamente le autonomie e impoverirne definitivamente le relative popolazioni, lasciando inalterati però gli assurdi e spropositati benefici delle classi dirigenti serve di Bruxelles e filo-europeiste.

Tutto ciò ha generato l’equazione “kraken=spread”, e da anni siamo stati così costretti a lottare contro questa mostruosità che è stata perfino stravolta dal suo vecchio originale significato; in precedenza infatti il termine “spread” era inteso come percentuale applicata dagli istituti di credito alle operazioni di prestito o ai finanziamenti ipotecari per stabilire l’effettivo guadagno delle banche sull’effettivo costo del denaro. Improvvisamente lo “spread” è diventato il differenziale tra il tasso di rendimento di una determinata obbligazione e quello del titolo di riferimento, il benchmark, che, guarda caso, è nato in terra germanica.

Oggi, maggio 2014, questo mostruoso indice è precipitato a 145, dopo aver toccato quota 575 a fine 2011, permettendo il parto, poi dimostratosi un completo aborto, del governo monti, detto “tecnico”.

Ma la nostra situazione economica non si è mica modificata!  Anzi!  La disoccupazione è salita, la recessione si è ancor più impennata, la pressione fiscale continua ad aumentare… cos’è cambiato? Praticamente nulla.

Quindi, come sostenuto da tantissimi in Italia, sottoscritto compreso, questo fatidico spread è solo un alibi, una scusa infima per permettere ai nostri amministratori nazionali di imperversare sulle (e nelle) nostre tasche, un pretesto per recuperare il denaro che Bruxelles non ci da  (perché i paesi europei si sono ridotti al ruolo di figli che percepiscono la “paghetta” dai genitori, mentre prima battevano moneta in funzione delle loro esigenze economiche) prelevandolo dal popolo senza far perdere un centesimo alla casta di politici e faccendieri che “devono” continuare ad arricchirsi, nonostante tutto e nonostante il “rigore” applicato al solo derelitto popolo italiano.

Autore dell'articolo: Sergio Figuccia

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