Visite: 35
L’A.I. sta mettendo decisamente mano alla realtà cominciando a eroderla in modo più consistente di quanto non avessero già fatto tutti i media e le tecnologie della comunicazione.
Immagini non vere, video non veri, notizie non vere, selfi ritoccati o fumettati, foto rianimate e movimentate, creazioni artistiche o pseudotali, ma, soprattutto, produzione di pensiero che si sta già sostituendo al pensiero umano.
Quindi una mente che viene depotenziata o fortemente e rapidamente sollecitata a trasformarsi. La sensazione è che l’A.I. abbia iniziato da alcuni mesi un soffice e accattivante abbraccio, nelle cui spire sarebbe buono non rimanere stritolati.
Devo confessare che anche io ho provato, e provo tutt’ora, un certo senso di sgomento e incredulità a leggere le “riflessioni” dell’A.I. su un mio precedente post sull’A.I.
Cosa succedera’ in un mondo (domani) in cui penseremo sempre meno, e in modo meno critico, e avremo sempre più difficoltà a distinguere il vero dal falso? Tenendo anche conto che tutto si sta sviluppando davvero a una velocità incredibile e fra pochi mesi avremo di fronte strumenti e servizi molto più potenti, quindi ragioniamo oggi su ciò che sta già oggi molto rapidamente cambiando.
Faccio sempre bellissime esperienze didattiche con i miei studenti ma non posso fare a meno di rilevare una caduta evidente e progressiva della competenza linguistica che è una inevitabile spia degli effetti collaterali della tecnocrazia e della digital life trascorsa in mezzo ai social (recenti ricerche: per ogni ora su libri e appunti, 6-7 ore su display, cioè 1 ora sfogli e segni, 7 ora scrolli e clikki).
Da anni avverto un lento e insidioso processo di perdita o attenuazione del senso di realtà – quello che quando crolla porta al delirio; ma io mi riferisco piuttosto alla difficoltà a percepire le cose reali – compresi i legami, gli affetti, le relazioni, le scelte, le azioni e le conseguenze di tutto ciò – come essenziamente reali, come pienamente consistenti e rilevanti, come se tutto questo ampio materiale umano ed esperienziale che ci pertiene, ci coinvolge e ci interroga (o almeno sarebbe auspicabile che lo facesse) perdesse colore e risonanza, valore e significato, senso e importanza. Una sorta di relativizzazione del mondo e di chi lo abita che porta a passare attraverso le situazioni della vita senza coglierne a pieno tutta la pregnanza di significato, senza nessuna possibilità di avvertire uno sfondo simbolico o un riferimento ideale, e quindi – di necessita’ – con disimpegno e responsabilità limitata e parziale. È una realtà liquida, ma anche debole, evanescente, “a scomparsa”, sostituibile, che relativizza soprattutto il travaglio delle relazioni, dei sentimenti, delle costruzioni di senso, insomma tutto il lavorio dell’umano che sta alla base del progresso culturale, sociale e civile e ci garantisce forme di solidarietà e interdipendenza adeguate a uno sviluppo umano psicosostenibile.
Che ripercussioni potrà avere tutto questo nella vita psichica individuale e collettiva, nel declinare il benessere e il disagio e nel difficile tentativo di provare a configurare nuovi orizzonti di senso? E soprattutto – la domandona – come potremo fare in modo che l’A.I. anziché intensificare la deriva dell’umano si allei con questo?