È solo un mio punto di vista personale, tengo a precisarlo per non coinvolgere in questo concetto anche gli altri autori di questo blog che, probabilmente, la pensano anche diversamente.
Per me i giornalisti che si infognano nelle zone più pericolose del pianeta, rischiando la propria vita e quelle dei collaboratori, per poi fare dei servizi banalissimi che non chiariscono affatto le reali situazioni sul campo, oggi non sono affatto degli eroi, nè sono assimilabili a lavoratori di pubblica utilità.
I cosiddetti “giornalisti di guerra”, un tempo, pur trovandosi in mezzo alla battaglia, raramente venivano coinvolti negli scontri e i loro interventi risultavano quasi sempre quadri dettagliati e corretti degli eventi bellici. Oggi invece, con strumenti sofisticatissimi come i droni, le riprese satellitari, le telecamere in dotazione agli stessi combattenti regolari e la diffusione dei media, la figura del giornalista sul campo di battaglia è diventata superflua e anche pericolosa per il paese di provenienza. Ricordate quanti operatori del settore sono stati catturati nel recente passato e utilizzati come merce di scambio, se non come ostaggi o scudi umani, facendo impazzire i relativi governi in lunghissime trattative con i rapitori? E questo quando finisce bene…. talvolta invece perdono la vita loro e chi li aiuta in questo lavoro spesso totalmente inutile e fine a se stesso (autisti, traduttori, guide, cameramen ecc. ecc.). I loro servizi televisivi potrebbero benissimo essere realizzati “da casa”, con l’ausilio di immagini di “repertorio” o registrate da operatori del posto e poi diffuse tramite le agenzie di stampa internazionali.
Non riesco affatto a vederli come degli “eroi”, nei loro interventi in tv si vedono sempre le stesse cose (scoppi, esplosioni, colpi di mortaio, gente che corre, morti per strada, sangue a fiumi) che noi purtroppo, che non siamo peraltro la causa di tutto questo, possiamo solo guardare con sgomento.
Non occorre farci guardare in faccia la morte per farcene provare disgusto, oggi la guerra con i suoi orrori la conosciamo purtroppo benissimo. La presenza di questi pseudo-giornalisti sui luoghi di combattimento serve a ben poco e le notizie risultano sempre quelle diramate dalle rispettive fazioni che si fronteggiano, mai che si possa sentire una verità “super partes”.
Mi chiedo: cui prodest? Ma mi rispondo subito: a loro stessi, che si intascano “interessanti bonus” per essere andati da volontari, che ottengono visibilità mediatica (la stessa che hanno però anche inutili personaggi come certi politici falliti, gli inquilini del grande fratello o i disturbatori televisivi alla paolini), e che magari, tornati in patria, pubblicheranno un libro ad hoc… non diritto di informazione, dunque, ma squallida speculazione.
Chi rischia la vita solo per proprio tornaconto personale e non per il bene altrui non è un eroe, nè lo sarà mai e non avrà mai il beneficio della mia stima personale… anche se mi rendo conto che gente del genere della mia e dell’altrui stima se ne fa un baffo.
I giornalisti di guerra, perché?
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