EXPO analysis

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È stato l’evento più contestato, sofferto, auspicato, strumentalizzato, acclamato e criticato degli ultimi due anni in Italia.  La domanda è: Ma in fondo ne è valsa la pena? La risposta ovviamente è soggettiva, per noi di Striscia la Protesta, che siamo stati fra i primi a trovare aspetti contraddittori nell’organizzazione (come la presenza di certe multinazionali, che più che alimentare il pianeta finiscono con avvelenarlo), la risposta a sorpresa è “SI’“.

“BUSINESS O FLOP?”

La sorpresa sta nel fatto che, nonostante i fenomeni di corruzione e di malaffare, riscontrati nella fase iniziale dell’organizzazione, i successivi blocchi dei lavori legati agli interventi della magistratura, e i rallentamenti che hanno generato malfunzionamenti e talvolta défaillance di interi gruppi espositivi, alla fine allestimento e gestione dell’evento appaiono impeccabili ai visitatori.

Ovviamente non tutto èstato completato in coerenza con i progetti iniziali, ma la precarietà di certi siti e l’assenza di altri sono visibili solo agli addetti ai lavori, per tutti gli altri invece, sia ospiti italiani che turisti internazionali, si tratta di fenomeni occulti e tutto finisce col sembrare perfettamente “fluido” e fruibile, quasi che l’organizzazione abbia sfiorato la perfezione.

La presenza dei visitatori è massiccia, il business per l’Italia (se non se lo divorano i soliti indegni italici intrallazzisti) dovrebbe essere veramente interessante, e l’immagine del nostro Paese ne dovrebbe uscire vincente, forse per la prima volta negli ultimi 10 anni.

“ANALISI GLOBALE”

Cominciamo ad analizzare, come primo elemento della “macchina organizzativa“, i collegamenti di mobilità da e per l’EXPO. Ci si può arrivare tramite metropolitana, bus, e apposito passante ferroviario, tutto ben strutturato e fruibile, nonostante qualche strada finita nel “nulla” e varianti in corso d’opera stroncate sul nascere. Secondo elemento che salta subito all’occhio è la sicurezza. Si entra come in aeroporto, sottoponendosi al solito spogliarello estemporaneo con successiva rivestizione acrobatica in corsa, dopo il passaggio dal giogo del metal detector. Certamente una seccatura ma necessaria e comunque ben organizzata, con un elevato numero di ingressi disponibili. Le file sono inevitabili, ma l’abbondanza di addetti e di passaggi le rende molto fluide. All’interno poi, ronde continue di Carabinieri, Polizia Urbana, Guardia di Finanza e persino dell’Esercito, offrono sufficiente serenità all’ambiente e di conseguenza anche ai visitatori.

Terzo elemento da considerare è il perfetto ordine delle zone di utilizzo comune con buona presenza di servizi pubblici, quali: posti a sedere (alcuni anche piuttosto insoliti o innovativi), fontanelle di distribuzione gratuita di acqua fredda (sia liscia che frizzante), toilette, e cestini per la raccolta differenziata dei rifiuti.

Per chi non si sentisse in grado di camminare molto (il solo corridoio centrale è lungo 1,5 Km) sono anche disponibili biciclette semplici o servoassistite e piccoli veicoli elettrici a quattro ruote, ma che ovviamente devono poi essere lasciati da qualche parte per poter visitare i vari padiglioni.

“IL TEMA E I NUMERI”

Ma andiamo all’esposizione vera e propria.

55  le Nazioni presenti, 152 le location espositive  (comprensive dei padiglioni dei “grandi marchi” commerciali, delle nostre Regioni, dei punti di ristoro delle Aree e dei Servizi).

Come certamente saprete il tema scelto per l’EXPO di Milano è “l’alimentazione” vista in chiave globale. Tuttavia non tutti gli espositori sono riusciti a centrare l’obiettivo della manifestazione, alcune nazioni infatti hanno preferito sfoggiare i prodotti del proprio artigianato, come se l’EXPO fosse la solita fiera internazionale, tuttavia questa “interpretazione” dell’evento si è resa necessaria per permettere un parziale recupero delle enormi spese sostenute da alcune nazioni per poter partecipare, sfruttando proprio il lato commerciale dell’evento e l’appetibilità sul mercato (non solo in chiave alimentare) dei prodotti artigianali tipici di ogni territorio. La gente compra con piacere gadget e piccoli oggetti etnici e così contribuisce, anche se in minima parte, ai costi elevatissimi per la realizzazione dei vari padiglioni. Insomma la presenza implica, in certi casi, piccoli sacrifici in chiave di spazi fruibili dentro le singole location, a scapito del tema di fondo della manifestazione.

Così, per quanto apprezzabilissime siano risultate le produzioni esposte e il lavoro certosino per l’approntamento dei relativi siti, ci è sembrato che siano andati fuori tema paesi come il Vietnam, l’Iran, il Brasile, l’Austria…; mentre altri hanno presentato solo foto, brevi video e piccole ricostruzioni di territorio, collegati sì con l’alimentazione, ma non di particolare impatto emotivo, sono i casi dell’Irlanda, della Svizzera, della Polonia, del Bahrain, dell’Ecuador

Bisogna ammettere però che nella maggior parte dei casi gli espositori, utilizzando sapientemente le ultime scoperte in campo tecnologico, hanno fatto a gara fra loro per sbalordire gli spettatori, pur muovendosi perfettamente nella sfera tematica proposta dalla manifestazione. Proiezioni multiple a 360 gradi su superfici enormi, immagini ciclopiche che lasciano a bocca aperta persino i più esigenti, fili di luci laser che si intrecciano in ambienti ovattati su riproduzioni virtuali dell’albero della vita con sfondi dinamici che si trasformano, istante dopo istante, senza soluzioni di continuità, e poi: ologrammi che ruotano dentro eleganti teche di vetro cambiando forma e colore ad ogni giro, perfette ricostruzioni di ambienti naturali dentro i padiglioni artificiali dell’esposizione e, soprattutto, splendide architetture lignee o metalliche che caratterizzano univocamente le singole nazioni espositrici e che sembrano piccoli monumenti alla evoluzione  della civiltà urbana. Uno spettacolo per gli occhi, per l’olfatto, che si inebria di cocktail dei più svariati aromi e, ovviamente, per il palato a contatto con cibi provenienti da tutte le parti del mondo.

“PADIGLIONE 0, VOTO 10”

Andiamo ai voti (ovviamente attribuiti secondo il nostro gusto e quindi soggettivi):

– su tutti il “Padiglione Zero“, che però merita il voto 10, un capolavoro ideato da Michele De Lucchi e curato da Davide Rampello, perfettamente in tema, bellissimo e spettacolare in ogni suo più piccolo dettaglio. Ci hanno letteralmente scioccato l’albero gigantesco che sembra sostenere l’intero padiglione, le gigantesche proiezioni ad alta definizione, l’immenso mobile gulliveriano che sembra accogliere i visitatori al suo interno, il tavolo che replica la Pangea prima della deriva dei continenti realizzato con legno millenario, l’enorme plastico che ricostruisce la storica evoluzione dalla civiltà contadina a quella industriale e la simulazione (completamente artificiale) della discarica urbana che rappresenta il paradosso della “indigeribilità” ambientale di ciò che resta dopo la nostra alimentazione quotidiana.

A seguire ci sono piaciuti molto i padiglioni dell’Azerbaigian, della Cina, degli Emirati Arabi Uniti, della Malaysia, della Spagna, della Francia, del Marocco, degli Stati Uniti d’America, del Cile, e soprattutto del Qatar, forse il migliore in assoluto dopo il “Padiglione Zero“.

Potremmo dire invece “Non pervenuto” al Padiglione Italia, in quanto visitarlo appare quasi una replica di “Mission Impossible“. Tutte le file per gli ingressi ai padiglioni sono piuttosto lunghe, ma quella del Padiglione Italia è pressoché disumana, si parla di tempi di attesa da due ore e mezzo in su, e così, specialmente la mattina, sotto un sole cocente, sono i visitatori a sembrare oggetti dell’esposizione, proprio come tanti biscotti messi in fila dentro un forno. Confessiamo di aver rinunciato all’impresa.

“LE PERFORMANCES ARTISTICHE”

Un’osservazione a parte va fatta per le esibizioni di artisti che hanno integrato, con brevi performance esterne, la presenza delle loro nazioni di provenienza. Ne abbiamo viste diverse: quella del Qatar è risultata la più pertinente col tema dell’EXPO, perché si è trattato di un grande chef che ha cucinato dal vivo alcune sue personali ricette, ci sono piaciute però anche quelle dell’Irlanda, della Slovenia, del Cile, ma su tutte riteniamo che la migliore in assoluto sia quella dell’Argentina che col gruppo “El Choque Urbano“, che si esibisce suonando solo percussioni (soprattutto tubi di plastica di vario spessore), ha fatto ballare il tecno-tango a gran parte dei visitatori dell’Expo, veramente imperdibili e coinvolgenti (sulla nostra pagina di Facebook abbiamo pubblicato un breve stralcio della loro esibizione).

Concludiamo con lo spettacolo collaterale del “Circle du Soleil” dal titolo “AllaVita”, realizzato appositamente per l’evento milanese del 2015. Certamente, per ovvie ragioni legate alla non sufficiente grandezza del teatro all’aperto, al badget a disposizione e ai “paletti” messi in atto dall’organizzazione EXPO, i celebri acrobati internazionali non hanno presentato il migliore dei loro spettacoli, ma le loro performance restano in assoluto le migliori del mondo e le più coinvolgenti per questo genere di spettacoli.

Come sempre sconfiggono tutti i vincoli della fisica e la stessa forza di gravità, fluttuando nell’aria con i loro esclusivi sfondi musicali tecno-world che immergono gli spalti e il pubblico in atmosfere favolistiche e oniriche; per un’ora e mezzo i fortunati spettatori si astraggono da tutti i loro assilli quotidiani fino a sollevarsi al confine col sogno, potrebbe essere una sorta di cura anti-stress da rendere obbligatoria per il nostro servizio sanitario nazionale. La nostra società infatti, intossicata ormai dalle pastoie economiche, fiscali, amministrative e politiche, avrebbe proprio bisogno di momenti di evasioni fantastiche come quelle offerte dal “Cirque du Soleil”.

Autore dell'articolo: admin

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