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Il nuovo avanza ma il bello scompare

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Certe volte scrivere un post – e’ questa una delle cose fiche dei social – e’ quasi un bisogno, e’ un’esigenza di mettere in fila parole e concetti, di ordinare pensieri e immagini e tentare di trovare un riparo mediatico da una tensione interna, un malumore, un’esperienza negativa. E l’esperienza che sto per raccontare brevemente mi ha messo davvero un po’ di tristezza addosso, cosa che in questo periodo proverei anche ad evitare.

Sono uscito da casa con un certo cronoprogramma di spese, tipico di un sabato mattino non lavorativo; dato anche il piacevole sentore di primavera, inizio con un po’ di piante al vivaio che Marisa mi aveva fatto conoscere, gestito da una garbatissima ragazza di colore, che per armonia della sorte si chiama Ortensia; lei oggi non c’era, in compenso un omone grande grande mi ha consigliato i gerani migliori dato che le piogge di questi giorni li avevano un po’ spetalati.

Poi passaggio rapido all’emporio dei saponi e detersivi, dove ogni volta rischio di perdermi tra lunghissimi corridoi di shampoo e dentifrici, senza mai raggiungere la certezza di avere trovato il prodotto giusto (chi ritenesse che scegliere il bagnoschiuma migliore sia cosa da poco, sconosce buona parte delle complessità della vita quotidiana…). E infine l’operazione più direttamente collegata alla sopravvivenza (non solo mia ma anche di Shanti che fra un po’ sarà a Palermo): ridare nuovo smalto e vigore al frigorifero di casa, da giorni desolatamente vuoto.

Un giro da Prezzemolo e Vitale e’ quello che ti rimette in pari con una buona gestione dei flussi alimentari, aprendo anche qualche spazietto di voluttuarieta’, che implicitamente afferma che ci possiamo consentire e meritare piccole ma significative gratificazioni (chi non conosce le prelibatezze dello yogurt al limone di Vipiteno ha da imparare ancora molto su certi ineffabili piaceri).

La 500 a questo punto è bella carica, se ne e’ andata mezza mattinata e io mi devo sbrigare a lasciare tutto a casa prima di fiondarmi in aeroporto a prendere Shanti. Ma la mattinata di impegno e buona volontà di scelta di vettovaglie, fiori e saponi, non potrebbe trovare il giusto coronamento senza un passaggio all’edicola, il negozio di piazza San Lorenzo, storico e imprescindibile come tutti i negozi della piazza (vogliamo parlare di Armetta?).

Per me poi, da sempre feticista nonché accumulatore seriale di libri, giornali e riviste, passare un po’ di tempo in un negozio che li vende, significa comprare due-tre cose, ma fantasticare di acquistarne dieci volte di più, con lo sguardo che si posa rapido e voglioso sull’ultimo numero di Urania, sulla rivista di viaggi e su quella delle prelibatezze vegane, sul bestseller uscito da poco, persino sulla settimana enigmistica e sul Corriere dello sport, senza disdegnare i classici della filosofia in offerta con il tal Quotidiano, e i personaggi mitologici di plastica venduti dalla De Agostini.

Solo un bambino di 5 anni che vede per la prima volta una giostra e deve scegliere l’automobilina o il cavallino dove saltare su (con la segreta e indicibile speranza di provarli tutti) può capire un poco cosa succede a me in un’edicola o negozio di giornali. Per farla breve – o quanto meno non troppo lunga – posteggio lieto la macchina davanti il panificio dove di solito e’ impossibile trovare un posto (a volte presagi negativi si celano dietro esperienze favorevoli) e vado per attraversare la strada per raggiungere l’edicola. Mi blocco. La saracinesca è chiusa per tre quarti. Il sabato è sempre aperta almeno fino alle 13. Mi preoccupo. I gestori, marito e moglie, sono anziani. Dall’altra parte della strada mi pare di vedere un foglio nella parte più bassa della vetrata, lasciata scoperta dalla saracinesca. Mi avvicino per leggere: L’edicola è chiusa per cessazione dell’attività. Stop. Fine. Pochissime, lapidarie parole, rispetto a una vita, a una storia che andrebbero quanto meno circostanziate. Loro stanno bene, ma il negozio non c’è più; quasi sicuramente non ci sarà piu’.

Mi vengono in mente parole senza senso: ma come? non e’ possible! parliamone un momento, non ne sapevo niente…La comunicazione stringata e formale di un foglio A4 appiccicato a un vetro di una porta chiusa che lascia intravedere all’interno degli spazi vuoti, aumenta stupore e malinconia e mi fa subito riflettere sul fatto che ormai da qualche anno noto, sempre con sgomento, che le edicole scompaiono; tantissime nella zona in cui abito; questa è l’ultima di una serie lunga: una a piazza De Gasperi, vicino la chiesa, due in via Strasburgo, due in via Restivo, cioè 5 in poche centinaia di metri – 6 con questa – ma tante altre in tutta la città; a Palermo ormai in alcune zone non è possibile acquistare un giornale nel raggio di due-tre chilometri.

La brutta sorpresa, come si conviene a una persona non piu’ giovane (benedetti gli eufemismi) innesca inevitabilmente una catenella di pensieri sulla parte di mondo che scompare davanti ai nostri occhi, a volte increduli, a volte tristi, altre volte indifferenti. E il ricordo va a quel primo luogo di piaceri ineffabili, l’edicola alla quale, da bambino di 7-8 anni, andavo con regolarità puntuale a comprare le figurine di calciatori Panini e i Grandi della Storia, quelle degli Animali e quelle di Geografia, Topolino, Geppo e Nembo Kid, e poi, piu’ avanti, Ciao 2001, ogni settimana per anni alla scoperta del Rock, del Jazz, del Progressive. E poi quotidiani, riviste di informatica, volumetti di fantascienza, gialli, Oscar, Le Scienze, la natura, i viaggi, la cultura, i giornali politici e quelli letterari.

Sì, un mondo che sta scomparendo neanche tanto lentamente, divorato dal digitale, ma anche mondi interni che da questo momento in poi potranno essere preservati solo nella memoria e riattualizzati, quando raramente qualcuno potrà prestare il proprio ascolto per queste nostalgiche rimembranze, come proverò a fare, da lì a poco, con Shanti e Noemi, a pranzo. Con la coscienza un po’ sporca di chi, anche in questo caso ormai da anni, libri e giornali sempre piu’ spesso li compra e li legge davanti un display. Si chiamano lacrime di coccodrillo? Forse si, ma ho sempre pensato che il dolore del coccodrillo, nonostante tutto, sia vero e sincero!

Autore dell'articolo: Daniele La Barbera

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