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Sbatti il mostro in prima pagina

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Quello che sembrava retaggio storico e desueto di un modo regressivo e scandalistico di fare giornalismo, diventa cronaca dei nostri giorni.
 
Un titolone ad effetto – non l ‘unico – che segnala il tentativo di una parte dei media e del giornalismo d’assalto di seguire l’onda del sensazionalismo: sconfortante e tragico segno dei tempi, che trascura deontologia professionale, corretta informazione, e persino il senso elementare degli eventi.
Perche’ quella che viene data in pasto al morboso desiderio di una certa opinione pubblica di trovare facili spiegazioni e soluzioni, come per esempio il mostro della situazione, e’ in realtà una minorenne che può essere forse considerata la vittima principale di questo massacro, almeno dal punta di vista psicologico.
Dovra’ infatti convivere con una immane tragedia di cui si è resa responsabile e la sua vita appare irreparabilmente segnata.
In questo momento ha bisogno di aiuto e supporto – anche se dovra’ essere giudicata per quello a cui ha contribuito – non di essere additata all’odio della gente, e alla reazione emotiva viscerale di chi prova ad alleggerire il peso di una violenza incomprensibile scatenando la propria rabbia contro l’anello debole di una catena di aberrazioni psichiche, familiari, gruppali e culturali.
 
Perché tanti sono i livelli presenti in questa storia terribile e cortocircuitare la complessità significa alterare il senso delle cose e confondere i piani. Questa adolescente non è neanche stata plagiata, come ho sentito piu’ volte affermare in questi giorni, ma e’ cresciuta in un ambiente familiare dove ha assorbito e fatta propria una visione del mondo aberrante; per paradosso lei è l’esito di un progetto educativo efficace, che però ha trasferito disvalori e violenza, una percezione distorta e farneticante del bene e del male, questa ragazza è stata esposta a una pedagogia del male e dell’orrore, ne ha respirato per anni l’atmosfera e l’ha fatta propria, costruendo la propria fragile e precaria identità su queste credenze psicotizzanti.
Questa e’ la ragione per la quale davanti agli inquirenti ha detto che non è pentita, perché pentendosi dovrebbe mettere in discussione tutta la sua vita, il castello di fandonie sul quale si è formata, la sua stessa esistenza psichica. E’ carnefice, esposta alla triplice influenza nefasta di una famiglia, di un gruppo e di una sottocultura del maligno come presenza concreta e visibile intessuta nel quotidiano e incarnata nei corpi degli affetti piu’ vicini, ma e’ anche vittima e noi la stiamo sottoponendo a un’ulteriore vittimizzazione secondaria.
Io posso sbagliarmi ma ho la netta sensazione che mostrificare in maniera violenta un’adolescente che e’ stata esposta a dei sottosistemi integralisti così potenti e pervasivi stabilisca un contatto sottile e molto ambiguo con quel “male” che si vorrebbe combattere indicando il colpevole contro cui scagliarsi. Perché il “diavolo” (dia-ballo) non si annida nei corpi dei familiari, ma nelle semplificazioni e nelle banalizzazioni collusive. E tutto ciò mi pare molto doloroso e inaccettabile.

Autore dell'articolo: Daniele La Barbera

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