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Sanremo Fumosi

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Partiamo da un primo concetto: la libertà d’espressione è sacra soltanto se non offende quella degli altri e se non mina, peggio ancora, la legge.
Già, perché in un Paese come l’Italia, che delle mafie è stato genesi, ostaggio e martire, e lo è tuttora, l’apologia di reato dovrebbe essere, moralmente e giuridicamente, uno dei crimini maggiormente puniti e, prima ancora, unanimemente condannati.
Eppure non è così, perché siamo un popolo di gente retorica, che la retorica la sfrutta sempre a proprio uso e consumo e che ricorda solo quando fa comodo e ciò che fa comodo.
Ci si preoccupa ancora di quattro idioti che inneggiano a ventenni dimenticati dal tempo e non di milioni di giovani che hanno nel modello criminale, e nell’emulazione dello stesso modello, il proprio, e spesso unico, punto di riferimento.
Non siamo altro che un popolo di egoisti opportunisti, da sempre, che intitola piazze, vie, giardini e aeroporti a Falcone e Borsellino ma ogni giorno consente che sul loro sacrificio si sputino valanghe di detriti. E con loro si mortifica la memoria di centinaia di altri eroi, da Dalla Chiesa a Pippo Fava, da Giovanni Lizzio a Don Diana, fino ai tanti martiri inconsapevoli come Attilio Romanò. E si potrebbe andare avanti con l’elenco per più di tre ore. Eppure abbiamo accettato di sacrificare alla libertà d’espressione a tutti i costi anche la dignità, quella di un popolo intero (ammesso che l’abbia mai avuta) e quella degli eroi che per tale popolo e per un’ideale di giustizia ci hanno rimesso la vita, spesso perfettamente consci del rischio.
Così serie televisive come “Gomorra” e, in larga parte, “Mare fuori” (al di là dei buoni propositi di facciata e non riusciti, che somigliano più a pretesti che a obiettivi reali), oltre ad aver arricchito qualcuno fino a fargli scoppiare ego e conto corrente, hanno contribuito a dare ai giovani, soprattutto a chi tra loro ha meno strumenti culturali di autodifesa, un modello tutt’altro che sano, che santifica il crimine, il denaro facile, l’illegalità, la prepotenza e la strafottenza. Tutto ciò che rappresentano le mafie, insomma, e contro cui gli eroi nazionali hanno offerto, nei decenni, la propria vita.
A questo si unisce il fenomeno pseudo-musicale della trap e, di conseguenza, il personaggio di Geolier, di cui ormai in queste ore tutti parlano, che è solo la punta dell’iceberg, uno tra tanti. Uno che nulla c’entra con Napoli, almeno con la Napoli che ripudia la camorra, e che su un palco come quello di Sanremo, nazionale prima ancora di nazional-popolare, non doveva neanche metterci piede. Nello stesso modo in cui, se avessimo una dignità collettiva, non dovrebbero esistere “Gomorra” e “Mare fuori”, perché non viviamo in un Paese che può permettersi di alimentare masochisticamente il proprio stesso cancro, quello per il quale tanta gente ha accettato il sacrificio ultimo, la morte.
Il problema, a ogni modo, non è certo Geolier. L’Italia è zeppa di opportunisti pronti al denaro facile, non temo uno dei tanti ragazzi che non ha saputo imparare nulla di meglio che inneggiare alle griffe, al potere dei soldi, al sesso volgare, allo sminuimento della figura femminile al ruolo di mera puttana, alla detenzione e all’uso illegale di armi, all’omicidio e al crimine. No. Mi preoccupano di più, molto di più, due diverse categorie. Da un lato il 60% di ebeti che lo ha promosso al televoto più inutile e marchiano che possa esistere, perché è quel 60% di giovani lobotomizzati a non dare speranza a questo Paese, prima ancora che a loro stessi. In secondo luogo, chi ha subito cavalcato (per i propri interessi promozionali, è chiaro), anche sul “palco” di Facebook e di una presunta intellettualità, una divisione interregionale che non esiste, come se Geolier fosse stato fischiato dall’Ariston in quanto napoletano e non, semplicemente, perché impresentabile.
Si è fischiata l’ingiustizia, non Napoli. Almeno quella Napoli che resta lontana dal modello camorristico. Visto che lui ormai va di moda ma rappresenta soltanto, ribadisco, il prototipo di tanti altri, avete provato a vedere su YouTube i videoclip di questo “cantante” con baffetti? No? Fatelo, allora. Avete provato a leggere i suoi testi (per le poche parti leggibili, ovviamente)? No? Bene, anzi male, ma ve ne allegherò adesso io, in calce, qualche stralcio esemplificativo. L’Italia non può permettersi di allevare criminali in erba. L’Italia non può sputare sui propri eroi. L’Italia non può continuare a vergognarsi di se stessa ogni sacrosanto giorno.
L’Italia deve diventare un Paese serio, senza crime-trapper e Geolier, senza “Gomorre” e “Mari fuori”. Gli esempi sono altri, devono essere altri. Da Agrigento a Trento, indistintamente. Torniamo a insegnare ai nostri figli chi sono gli esempi veri, quelli a cui intitoliamo vie e piazze. E insegniamo loro, soprattutto, che la libertà d’espressione non può mai giustificare ogni cosa. Esiste un limite, anche su questo aspetto, e il limite è combattere con ogni forza e mezzo l’apologia del crimine.
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– Dal brano “Narcos”: Chesta sera bevo troppo mentre penzo a dimane / ‘Int’ô cassetto tengo ‘a Glock a ffianco ô conto bancario/ Me ne vaco assaje luntano, addò nun piglia ‘o 3G / Cu na tipa ca me spoglia senza manco usá ‘e mmane / Vamos a la playa con la plata nella Gucci / Me dice que soy bueno mentre leva ‘a cinta Gucci / Trappo comme ‘a Genny mentre accide a nu cristiano / Ogne piezzo mio è na hit già da Napule a Milano.
– Dal brano “Yacht”: Mama, na tipa brasiliana / Vò sulamente ‘a fama e quindi è na puttana (Brr) / Sbanca, tutt”e tipe c”a cravatta / Ma je nun ‘a tengo ‘a giacca / Tengo ‘a nove e vin (Click clack).
– Dal brano “P Secondigliano”: Giro pe Secondigliano / Dint’a n’Audi nero opaco / Ca me pare n’astronave / Scengo, ô pede na Balenciaga / ‘A voglio c’addora ‘e Paco Rabanne / Vestuta nera c”a Margiela bianca / Cu nu Rolex oro e diamante / Pecché ‘ccà bascio me chiammano Don / Se fanno ‘e croce, Marcelo Burlon.
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Può bastare, no? Sono davvero grato, tanto grato, a chi all’Ariston ha mortificato questo sgradevole esaltato. Uno uguale a tanti. Ah, un’ultima cosa, detta “pane al pane” così anche i crime-trapper possono capirmi: i paragoni con Pino Daniele, cortesemente, teneteli per voi. Fatelo per voi stessi, quanto meno. E torniamo, soprattutto, a indignarci e a censurare chi non sa stare al mondo. Del resto, non sono altro che i nostri figli. Sappiamo ancora spiegargli qualcosa? Siamo ancora in grado di indicargli la via più corretta? Oppure andate a sparare con loro, a fare i boss, a scoparvi le femminechesonotutteputtane col rolex d’oro al polso e le Balenciaga ai piedi???
 

Autore dell'articolo: Alessandro Vizzino

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