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RIFLESSIONI SEMISERIE SU UNA PAROLA SBAGLIATA NEL MOMENTO SBAGLIATO – di Daniele La Barbera
(Enrico Michetti, candidato del centro-destra sconfitto al ballottaggio per la carica di Sindaco di Roma, commenta con una gaffe l’esito del voto: “L’esito è laconico”)
Un lapsus può capitare a tutti. E un piccolo corto-circuito cognitivo dopo una sconfitta elettorale molto netta non si deve negare a nessuno.
Nonostante questo tra le tante facili (e anche un po’ scontate) ironie, meme e vignette umoristiche che infieriscono sul perdente e sul suo lessico approssimativo, quella in cui Carlo Verdone (dal film “Un sacco bello”) risponde “In che senso?” alla frase incomprensibile del mancato sindaco la trovo veramente divertente.
Volendo provare a decodificare l’errore come non casuale, si potrebbe immaginare che lo sconfitto, in uno stato emozionale di avvilimento, si sia lasciato trasportare più che dal significato del termine, dal suono e dalle associazioni subconsce, come avrebbe potuto spiegarci il Maestro di Vienna. “Laconico” infatti, non evoca soltanto un dire che si esprime con poche parole, ma anche qualcosa di definitivo. Non raramente, infatti, diciamo che qualcuno è stato laconico anche per affermare che il suo scarno ed essenziale eloquio non ha consentito repliche o alternative.
In effetti niente e’ più definitivo, perentorio e privo di alternative di una sonora sconfitta elettorale. Il richiamo a Sparta poi – visto che il termine deriva da Laconia, che dell’antica città stato greca era una regione – potrebbe evocare l’aspetto cruento dello scontro che il nostro ha patito sulla sua pelle (oltre che rivelare, eventualmente, le sue inclinazioni fasciste e militariste).
Ma al di là di queste impietose considerazioni che, tanto per rimanere in tema, non ci devono impedire di tributare allo sconfitto l’onore delle armi come si conviene in casi consimili, io rifletto da tempo su come la nostra meravigliosa lingua e le splendide parole che la compongono e la illuminano, vengano continuamente mortificate, con una deriva semantica che impoverisce sempre più non solo la nostra cultura ma anche il nostro pensiero.
I nostri giovani conoscono mediamente molte meno parole delle generazioni precedenti e non di rado ne utilizzano una al posto dell’altra, a volte con effetti tragicomici, specie se il misfatto semantico viene perpetrato durante una prova d’esame.
Nel caso dei ragazzi l’inappropriatezza terminologica dispiace particolarmente perché rivela non solo una scarsa propensione alla lettura ma anche poco interesse al linguaggio, visto che le loro elevate abilità tecnologiche potrebbero consentire in pochi millesecondi di conoscere il significato e l’etimo di ogni parola.
La nostra civiltà mostra indubbiamente molta negligenza nei confronti delle parole, senza tenere più nella giusta considerazione che esse sono i mattoncini che costruiscono una civiltà. La cura delle parole e la ricchezza e delicata raffinatezza del loro uso sono una straordinaria barriera contro l’imbarbarimento civile e morale ma anche contro l’avanzare delle seduzioni populiste, che proprio sulla semplificazione estrema del linguaggio, ridotto a mero e ripetitivo slogan, basa le sue fortune.
Diffido di un politico (e di ogni altro tipo di individuo) che non curi a sufficienza l’uso delle parole e non ne coltivi la bellezza e il valore, soprattutto se a sostenerle non ci sia ne’ passione, ne’ sincerità.
P.S. Che volesse dire “malinconico”?