Ci ha scritto Concetta Melsa, una nostra lettrice della Provincia di Cosenza, per segnalarci un problema che sta affliggendo da diversi anni pressoché tutti gli agricoltori calabresi sottoposti alle angherie di una organizzazione consortile che, nata per “garantire l’ordinato assetto del territorio e delle sue risorse”, sembra si sia trasformata invece nell’ennesima magagna vessatoria partorita dalla mostruosa macchina legislativa italiana.
Concetta è portavoce di un gruppo di cittadini cosentini, fra i quali Eugenio Veltri, ex sindaco di Terranova da Sibari (CS), Pino Costantino, ex- Vice Sindaco, Luciano Parrotta ecc.), che si sono rivolti a noi per rendere pubblica la faccenda dei Consorzi di Bonifica in Calabria.
La tematica è particolarmente complessa se volessimo approfondirne la conoscenza entrando nelle specifiche della Legge Regione Calabria n.11 del 23 luglio 2003, che ha istituito i consorzi di bonifica, e nei riferimenti, addirittura monarchici e risalenti a quasi un secolo addietro (Regio Decreto 215 del 1933), presi come riferimento dal signor Mario Pirillo (ex assessore all’agricoltura della Regione Calabria, oggi deputato a Bruxelles per conto del PD), per giustificare le cartelle esattoriali spedite a raffica, tuttavia alla base di tutto c’è la solita vergogna, tutta italiana, di voler fare business in favore di pochi individui sulle spalle di intere comunità di lavoratori senza prestare, in contropartita, alcun servizio di pubblica utilità.
In poche parole, sostengono moltissimi agricoltori calabresi, è stata messa su una organizzazione “legale” di “consorzi” che dovrebbero prestare servizi di “miglioramento fondiario” (così come previsto per definizione stessa di consorzio di bonifica), ma che tuttavia si limitano, nella maggioranza dei casi, all’attività di raccolta di contributi economici senza adempiere ad alcuna funzione statutaria, compiendo così, nella pratica, una attività “illegale” in quanto molesta e vessatoria.
In effetti le cartelle esattoriali, che i responsabili chiamano “contributi”, partono dalle varie sedi dei consorzi con la regolarità ciclica dei pleniluni, qualsiasi sia il terreno preso in considerazione e anche in totale assenza di interventi irrigui o di bonifica.
Gli agricoltori sono inferociti, hanno creato perfino dei “comitati” contro i consorzi, ed hanno raccolto ben 8.000 firme per modificare (almeno) la famigerata legge 11/2003 che li costringe a pagare, sempre e comunque, una sorta di “pizzo” istituzionale che il Pirillo (vedi sopra) vorrebbe giustificare aggrappandosi a “ciò che non viene detto” nel Regio Decreto del 1933, il cui articolo 59 “non lega il contributo per fini istituzionali al beneficio, ma non lo esclude neanche espressamente”, come dire: Quando c’era il Re in Italia è stata fatta una legge nel cui testo non si parla di raccogliere soldi dai consorziati senza che gli stessi abbiano beneficiato di alcunché, quindi oggi, dopo 83 ANNI, posso farlo liberamente perché nella legge di 83 ANNI fa nessuno aveva ancora pensato che si potessero far pagare le persone senza fornire loro alcun servizio.
Caro Pirillo, verrebbe da dire, ma se 83 anni fa non si poteva neanche lontanamente immaginare che lo stato potesse diventare una mostruosità del genere, capace di copiare le “amenità” delle organizzazioni malavitose pur di rastrellare denaro dalla misera economia popolare, questo non ne rende legali oggi le mancate precisazioni di illegalità.
Caro Pirillo, verrebbe da dire, ma chi ti ha suggerito di andare a riesumare il “vuoto” in un Regio Decreto, nato quando tu non eri nato, per giustificare il “pieno” di contributi che pretendi dagli agricoltori della tua terra?
Caro Pirillo, ma sei al corrente che la Corte Costituzionale ha sancito che le spese per l’adempimento dei fini istituzionali (cioè per le sedi dei consorzi, le indennità degli organismi di gestione e altre inutilità varie) sono componenti dell’onere complessivo che l’opera di bonifica richiede, quindi ricadono solo su chi riceve un beneficio in tal senso?
E infine, caro Pirillo, se vuoi proprio rifarti ad antiche normative per vantare la legalità del “maltolto” agli agricoltori calabresi, anche se oggi puoi sfruttare l’arma giusta che si chiama equitalia che non esisteva ancora nel 1933, ti consigliamo di scartabellare nei libri mastri delle “gabelle medievali”, vedrai che lì qualcosa in tuo favore riuscirai a trovarla.
Per la cronaca, gli agricoltori non vogliono la rivoluzione, chiedono solamente di pagare solo quando ricevono benefici specifici dal consorzio e che a gestire i consorzi siano imprenditori agricoli e non politici o affaristi …. vi sembra chiedano troppo?
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http://www.bonificaromagna.it/Documenti/RD_13_febbraio_1933_n.215.pdf