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Effetto Selfymondo

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Effetto Selfymondo, dove le emozioni si infiammano e le parole si confondono
Perché la comunicazione on-line, sia che si svolga sui Social, sia che si sviluppi in una chat, sia che riguardi una riunione in videoconferenza, così facilmente degenera nei toni e nei contenuti?
E’ evidenza comune per chiunque abbia un poco di attenzione alle interazioni tra le persone, che la qualità delle relazioni umane – specialmente se dovessimo valutarle in base a ciò che avviene negli spazi virtuali del Selfymondo – si sta rapidamente degradando. Al punto che comincia a risultare complicato e difficile riuscire a non litigare, disprezzarsi, offendersi, aggredire verbalmente, biasimare e mortificare con termini pesanti, quando, nelle relazioni virtuali, ci si trova ad avere dei pareri diversi, dei punti di vista che non coincidono, delle prospettive che vengano immediatamente ritenute inconciliabili: ne e’ possibile solo una, quella nostra, punto e basta.
E poco importa se la disparità di vedute riguarda la politica, la società, la pandemia, la morale, o persino lo sport e lo spettacolo, che, per loro stessa natura e finalità, dovrebbero riconciliarci con noi stessi e con il mondo, favorendo piacere e relax. Appare più che legittimo ipotizzare che la comunicazione a distanza tecnomediata faciliti grandemente la conflittualità, la contrapposizione aggressiva, gli attacchi violenti, il linguaggio turpe ed offensivo.
Per tentare di dare una spiegazione e una cornice a questi fenomeni è stata inventata una nuova categoria tecno-antropologica, quella degli “haters”, gli odiatori seriali per vocazione e un po’ per professione, che traggono grande diletto dall’insultare in modi estremi, e spesso del tutto gratuiti, personalità pubbliche, spesso unicamente colpevoli di non rientrare con esattezza nei canoni fisici, psicologici o esistenziali dell’hater; altre volte responsabili soltanto di avere suscitato – per motivi poco razionali e ponderabili – l’invidia o l’insofferenza del leone da tastiera di turno. Che una volta, come ci ricordava Eco, esauriva il suo palcoscenico nei quattro amici dell’osteria, e, adesso, sempre quattro amici ha sui Social, ma con una percezione soggettiva onnipotente di una immensa platea di seguaci nel Selfymondo.
Ma a parte che anche il proliferare di questi personaggetti andrebbe comunque indagato nelle sue radici causali, il fenomeno della estesa e diffusa conflittualità negli spazi virtuali non si esaurisce in alcun modo con gli “haters” essendo molto più ampio, capillare, e trasversale. E ha degli antecedenti interessanti e indicativi. Risale infatti alla metà degli anni 90 l’inizio di un fenomeno che i primi pionieristici psicologi e antropologi del cyberspazio non mancammo di rilevare: venne denominato “flaming” e indicava, per l’appunto, una fiammata aggressiva, una reazione ostile o rabbiosa all’interno del selfymondo arcaico degli inizi della Rete, che comprendeva i newsgroup, i forum, le mailing list e, solo dopo anni, blog e chat.
E’ curioso che il termine pare sia stato mutuato dai fumetti dei Fantastici 4 della Marvel, e precisamente dal grido di battaglia della Torcia umana: “Flame on”. In quegli anni psicologi e sociologi dei gruppi hanno studiato a fondo il fenomeno cercando di intrecciare variamente le conoscenze predigitaliche con i nuovi paradigmi relazionali inaugurati dal Selfymondo. Tra questi ultimi credo che uno dei più importanti sia rappresentato dal fatto che in queste interazioni a distanza non abbiamo davanti esseri umani ma uno schermo; mancano i corpi e la loro assenza favorisce interazioni disinibite, “fredde” o fin troppo incongruamente “calde” e,comunque, emotivamente distorte. Non c’è empatia e lo spazio virtuale di interazione con l’altro può essere facilmente vissuto come spazio da conquistare con il proprio Io, specialmente se si percepisce che altri osservatori assistono alla rissa virtuale per il dominio e l’affermazione di se’. Altro elemento che danneggia la comprensione e la pacatezza emozionale è la velocità di elaborazione favorita dai dispositivi tecnologici, che porta a una cattiva decodifica del messaggio e del suo significato e quindi a fraintendimenti ed errori di valutazione che favoriscono modalità proiettive. Ricerche recenti ci dicono che nel 50% dei casi le e-mail vengono interpretate scorrettamente o solo parzialmente comprese da chi le legge.
Nonostante abbia spesso riflettuto su questi fatti, pochi giorni fa mi è capitata un’esperienza che nella sua semplicità mi ha lasciato un po’ interdetto; una signora mi chiedeva per messaggio come modificare per il meglio la terapia che prevedeva l’assunzione di una data compressa la sera. Rispondo, senza alcuna possibilità di equivoco: “Assuma la compressa mattina e sera”. In risposta mi arriva un vocale piuttosto articolato in cui la signora mi dice che vorrebbe essere sicura di avere capito bene, e cioè che deve sostituire la compressa della sera con quella del mattino “perché sa, sono farmaci, bisogna stare attenti…” e avanti così per circa un minuto e mezzo.
Rimango basito, rispondo chiedendo alla signora la gentilezza di rileggere il messaggio che le avevo inviato. Dopo un po’ arriva un’altro lungo vocale in cui si scusa per avere letto distrattamente senza avere capito la semplice indicazione che le avevo dato. Eppure sarebbe bastato dedicare qualche secondo in più di attenzione a leggere un testo chiaro ed essenziale, anziché impiegare alcuni minuti per sprecare parole inutilmente.
Nel Selfymondo pare sia difficile percepire bene le idee dell’Altro, soprattutto quando per farlo dobbiamo mettere in discussione ciò in cui crediamo o quello che riteniamo di avere frettolosamente capito.
 
 

Autore dell'articolo: Daniele La Barbera

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