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Della vita e della morte

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Ritengo che non si debba desiderare la morte di nessuno, nè tanto meno gioirne; anche il peggiore degli avversari sarebbe sufficiente combatterlo o renderlo inoffensivo, ma da vivo.
Detto questo la morte di per sé non riabilita nessuno e non azzera il significato e gli effetti delle azioni e dei comportamenti realizzati da vivo.
Il giudizio su una persona non può cambiare con la sua morte e si può e si deve essere liberi di riaffermarlo, con equilibrio e pacatezza, senza acredine e accanimento, ma anche senza fingimenti e ipocrisie.
Perché non tutto si può comprare e vendere, meno che mai la stima di chi antepone valori e coscienza agli affari e al successo.
Che la morte di per sé beatifichi il defunto è una pretesa che solo chi lo beatificava in vita può avanzare, aggiungendo stoltezza a insensatezza.
Pesi e contrappesi andrebbero sempre tenuti presenti nel valutare i fatti della vita e della morte.
Spiace quindi che questo evento stia rappresentando occasione di clamorosa falsificazione della realtà, a cominciare dal credito internazionale che lo scomparso ci avrebbe garantito, dimenticando scandali e corruzione che solo Putin e qualche dittatore della repubblica delle banane potevano apprezzare.
Dopodiché mi sarei risparmiato alcune forme di esagerata celebrazione – fino al lutto nazionale (!!!) – che l’unico merito che hanno è quello di continuare la spettacolarizzazione mediatica e populista che ha accompagnato lui e le sue opere per gran parte dell’arco della sua esistenza.

Autore dell'articolo: Daniele La Barbera

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