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Isteria: un male ancestrale, oggi legato spesso al lavoro

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Il termine deriva dal greco “hysteron”, utero. Infatti, nell’antica Grecia (con Ippocrate), si riteneva che alcuni attacchi collerici delle donne derivassero dallo spostamento dell’utero. Sorano, ginecologo vissuto nel primo secolo d. C., sosteneva che le isteriche provavano rimedio al loro male con la seduzione e la lascivia.  Anche Galeno (131-201 d. C.) rilevava la natura erotica della sofferenza.  Nel medioevo i soggetti isterici erano considerati come “impossessati dal demonio” (anche oggi, a onor del vero, così sembrerebbe ascoltando certe loro “paternali”) e perseguitati per stregoneria.

Intorno al 1593 William Shakespeare rappresentava in teatro “la bisbetica domata” (sarà una delle commedie più famose) e nel pieno pensiero dei tempi che furono (misoginia in primis), l’interprete principale, Caterina, era una “lunatica brontolona”, puntigliosa, ribelle.

Solo nell’Ottocento il punto di vista sull’isteria inizia a cambiare , molto lentamente, grazie ai primi studi scientifici degni di nota sul tema che riguardano, però, ancora in prevalenza soggetti femminili.  Celebre il caso di una paziente, curata (e clinicamente guarita) da Freud, che aveva subito in età infantile un trauma, da cui seguirà una trattazione “sistemica” della patologia. Nonostante i progressi sullo studio di questa malattia, ancora nel secolo scorso Hildegard Knef, attrice e scrittrice tedesca, affermava, evidenziando una effettiva discriminazione sociale: “Un uomo che urla ha un’opinione. Se un uomo strepita, è dinamico, se sbraita una donna è isterica”.

Crediamo tuttavia che oggi l’isteria sia trasversale, e che colpisca soprattutto nell’ambiente del lavoro.

Uomini e donne, sottoposti a stress per le difficoltà legate all’odierno mondo del lavoro come il cambiamento continuo delle normative, le pressioni commerciali imposte dalle funzioni direttive, i difficili rapporti interpersonali con colleghe e colleghi arrivisti, i rischi di perdita dello stesso posto di lavoro ecc., tendono molto facilmente a improvvisi attacchi isterici che, d’altra parte, appaiono anche motivati.

Risulta invece molto meno comprensibile l’isteria dei nostri mega dirigenti banchieri.  Hanno stipendi da nababbi, benefici di qualsiasi tipo, posizioni economiche e sociali invidiabili…. eppure!… Anche loro sono soggetti a violente crisi colleriche.

La fenomenologia isterica dei manager è veramente particolare: stati di eccitamento psicomotorio (gesticolano smodatamente quando parlano, camminano nervosamente sul palco durante le convention, come in preda a “delirium tremens” ecc.), stati deliranti (quante ne “sparano” pur di essere convincenti a vendere l’impossibile!), stati di depressione ed euforia ( in alcuni casi diremmo “schizofrenia”), facilità alla menzogna (quante promesse non mantenute!), immaturità emotiva (pressoché totale mancanza di empatia), egocentrismo (“è così perché lo dico io” ), teatralità (sembra che abbiano studiato all’accademia) e, dulcis in fundo, tendenza alla drammatizzazione e all’esagerazione (“questo obiettivo è di importanza VITALE…”).

In psichiatria si precisa che l’isteria insorge soprattutto nell’età adolescenziale, pur riscontrando parecchi “nuovi isterici” nell’età avanzata. Interessante, soprattutto se pensiamo ai nostri mega dirigenti, è quello che è definito “carattere isterico”. E’ tipico di coloro che “vogliono apparire di più di ciò che in realtà sono”, ne sono talmente “travolti” che si auto convincono, hanno bisogno di sentirsi “valorizzati”, veri e propri istrionici (nel senso classico del termine: commedianti).

Generalmente non sono pericolosi ma sicuramente risultano insopportabili con le loro urla inutili e i loro ragionamenti contorti. Il malcapitato di turno, qualsiasi obiezione provi a esprimere, sarà sbeffeggiato e ogni sua affermazione sarà interpretata dagli isterici come un’accusa.  Sono “egotisti”, hanno valore solo le loro esperienze di vita, parlano continuamente di se stessi, quando noi esprimiamo il nostro pensiero loro sono distratti e non mostrano alcun interesse per quello che proviamo a comunicare. Convinti detentori della verità, superbi e presuntuosi.

L’isterismo è comunque fondamentalmente espressione di un disagio, l’esternazione di un malessere profondo di cui il soggetto non ha consapevolezza.

In psicanalisi non possiamo non fare riferimento a Jacques Lacan che, intorno agli anni sessanta, studiò a lungo sul fenomeno dell’isteria e sul “discorso del padrone”. Lacan, a differenza di Max Weber che sosteneva il “sacrificio di sé” dei primi capitalisti, ritiene che il padrone punti al “godimento” ad ogni costo, travolgendo tutto, anche le persone. Come non pensare all’isterico che distrugge le relazioni, impoverisce i sentimenti?  Oggi il mega dirigente si concentra solo sull’utile, mercificando le persone. La solidarietà, se c’è, è di facciata, fondamentalmente s’insiste a “rottamare” il collega, a “costringerlo” in un modo o in un altro a lasciare il posto di lavoro, al prepensionamento. 

Come l’isterico è accecato dall’ira, così il “padrone” pensa solo al suo tornaconto e le relazioni sono solo strumenti per “guadagnare”, non esistono emozioni, sentimenti… costano troppo! Così come l’isterico vuole tutto e subito, il padrone vuole la “velocità”, pensiamo, per esempio, a quante chiamate i colleghi devono rispondere nei Contact Center, poco importa la qualità della risposta! Condivisione, socialità, ascolto sono concetti cari (al portafoglio) e quindi sconosciuti o poco perseguiti. Bisogna seguire il ritmo dell’isterico: veloce ma eccessivamente rigoroso, il collega deve essere un automa, impersonale, inumano, anonimo.

Come affrontare l’isteria? L’unica vera soluzione è che gli isterici comprendano (ma senza l’aiuto di un medico è davvero difficile) di soffrire di questa patologia e che, di conseguenza, tentino almeno di porvi rimedio. La psicoterapia può sicuramente portare grandi benefici ma riteniamo che prevenire sia meglio che curare e che mai dovrebbero essere scelti gli isterici, come purtroppo invece accade, per i ruoli di sintesi. Ci salvi chi può…

Autore dell'articolo: Giuseppe Angelini

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