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Quando il Premio Strega … il lettore si inorridisce

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Parlando con un amico del Premio “STREGA” 2017 , ho fatto una riflessione che vorrei riproporre ai lettori di questo blog.

Il problema è a mio avviso più complesso e non riguarda solo lo “Strega“.

Salterò il preambolo, pur verissimo, con cui sostenere che i premi letterari maggiori, in Italia, seguono una serie di logiche, mercificazioni e condotte d’interesse la cui punta dell’iceberg, spesso, come in quest’ultima edizione, salta agli occhi anche dei meno avvezzi o scettici.

Il problema è che un certo “snobismo” letterario lo assumono sovente persino i concorsi minori, e questo aumenta la forbice che separa quello che il pubblico richiede (il pubblico inteso nel senso più ampio, non soltanto i critici o i presunti tali) e ciò che la produzione letteraria offre.

L’attuale ricerca del lettore “della domenica” (o “da Autogrill”, per intenderci) è guidata da concetti di facilità e immediatezza (perché leggere un libro spesso spaventa chi non è abituato a farlo, convinto per “sentito dire” che sia un’attività noiosa e che richieda un impegno superiore alla norma); a questo si aggiungano i richiami pubblicitari che, come in ogni settore merceologico, veicolano un prodotto più o meno dell’altro. Questa richiesta di “fast reading”, o di “simple reading”, se preferite, promuove non di rado testi (in cima alle classifiche) che a livello di spessore letterario (inteso come originalità e uso della parola, diversità di contenuto, stile) hanno poco, al punto tale che non vengono redatti, già in fase di stesura, con quest’obiettivo: il pubblico vuole il “facile” (spesso il “già letto” seriale camuffato da nuovo romanzo) e il facile gli si propina.

Dall’altra parte, i cosiddetti “addetti ai lavori”, anche nei concorsi minori, come scrivevo prima, tendono a premiare testi giudicabili come “letterari”, benché poi di letterario abbiano ben poco se non la presentazione, l’ambizione e la mera “carrozzeria”, e non siano altro che tomi realmente noiosi e stopposi, o, nel peggiore dei casi, esercizi di stile che rasentano il ridicolo (Lagioia docet).

Io credo che l’elemento di contatto mancante, oggi, sia proprio, dunque, la “freschezza”: quel tipo d’impulso che possa far parlare e ragionare di letteratura e cultura senza però prendersi troppo sul serio, giocando un po’, coinvolgendo anche la masse tradizionalmente più lontane dai libri.

Qualcuno di coloro che citavo prima, quelli con la “puzza sotto il naso”, potrebbe dire: “C’è bisogno di sporcarsi le mani”. Io, invece, che sono un uomo comune tra tanti uomini comuni ma con differenti interessi, direi: “Dobbiamo trovare la formula di rendere un incontro librario avvincente e quella per far capire a tutti, soprattutto ai giovani, che leggere un libro non è impegnativo né noioso, bensì la cosa più naturale e suggestiva che possa esistere”.

Anche la produzione editoriale, a quel punto, potrebbe iniziare a coniugare leggerezza e qualità, proponendo testi leggibili ma ben scritti, intensi, e, al contempo, libri di “sana e robusta costituzione” da un punto di vista letterario ma davvero vicini ai gusti, anche frivoli se fosse il caso, della gente comune. E ci allontaneremmo così, forse, dalla spazzatura editoriale che spesso (non sempre, beninteso) affolla le classifiche dei più venduti e, allo stesso tempo, da giudizistreghistici” che poi, in fin dei conti, dimostrano quasi sempre di non sposare il gusto reale del pubblico.

Autore dell'articolo: Alessandro Vizzino

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