Visite: 357
Scappano per andare da nessuna parte, scompaiono senza dare notizie, svaniscono per poi ricomparire e farsi riprendere.
Una fuga che non riesce ad essere tale fino in fondo, una fuga che sa piu’ di atto mancato, di un involontario bluff, di un tentativo mal riuscito, di un progetto senza progetto, di una decisione indecisa, di una scelta rinunciabile.
Si tratta di un fenomeno che negli ultimi anni comincia a verificarsi con una certa frequenza e che richiederebbe – caso per caso – un’analisi attenta e circostanziata e che, purtuttavia, consente di approssimare una qualche generalizzazione.
A cominciare dal dato piu’ clamoroso ed evidente, che ci parla di un disagio adolescenziale che, rispetto al periodo pre-covid, e in tutte le sue complesse manifestazioni, è più che triplicato.
E’ un dato sicuramente inquietante, ma sotto certi aspetti anche scontato. Ci aspetteremmo di avere dei ragazzi in piena salute psichica in una società da quasi cinque anni attraversata a ripetizione da alcune delle crisi più tremende e globali che abbiano mai afflitto l’umanità? Alcune delle quali ancora in corso e dall’esito molto incerto? Se e’ vero che il benessere psichico dei bambini e dei ragazzi garantisce un futuro positivo per la società, e’ anche vero che un presente carico di angosce e incertezze tende a comprometterne lo sviluppo. Se questa, purtroppo, e’ la cornice sociale complessiva – nella quale la pandemia è intervenuta pesantemente con un effetto di grave rottura sulla continuità e stabilità dei processi evolutivi e identitari in adolescenza – altri aspetti sono più strettamente inerenti alle caratteristiche psicologiche attuali degli adolescenti e ai modelli di relazione con genitori e adulti.
Anni fa, in uno studio sulla condizione di bambini e ragazzi nell’epoca attuale, avevo proposto l’esistenza di una Sindrome che avevo indicato con l’acronimo APPR, sindrome da adultizzazione precoce parziale regressiva.
Mi sembra che tutt’ora questa prospettiva sia valida e utile per descrivere alcune delle caratteristiche comuni a gran parte dei nostri giovanissimi. Sono molto precocemente adultizzati su alcuni aspetti disfunzionali (sesso, alcol, uso di sostanze, condotte a rischio) al contrario permangono in un’area di franca e regressiva dipendenza sul versante delle responsabilità e dell’adultita’ che si proietta nel futuro.
Il mix tra questi aspetti contrastanti e discronici puo’ essere molto pericoloso, come la condotta di un bambino che tenta di comportarsi da adulto non avendone le competenze. E non essendo stato aiutato a formarle, dato che oggi la stragrande maggioranza dei figli vive contesti educativi quasi esclusivamente protettivi e gratificatori, con scarse o nulle implicazioni normative e maturative.
Molti di loro divengono inconsapevoli e involontarie propaggini narcisistiche dei loro genitori, privi di quel contenimento che anche un sistema di regole e di limiti – non solo l’affetto incondizionato – è in grado di strutturare.
L’unico mezzo – più in fantasia che nella realtà – per rompere questo sistema di relazioni di dipendenza a volte può essere visto nella fuga, atto simbolico, velleitario, alla fine inconsistente, ma che, almeno, comincia a testare le proprie parti adulte e a metterle a confronto con la realtà. E che consente anche di squarciare i limiti asfittici e devitalizzanti di quelle esperienze digitali desocializzanti che chiamiamo Social. E che a noi, che riflettiamo su questi fenomeni, puo’ solo richiamare la necessità, l’impellenza e la priorità di politiche educative, sociali e sanitarie a favore dei ragazzi, ampie, articolate e coerenti.