La chiamano AI, acronimo inglese di “intelligenza artificiale“, ma forse non è l’appellativo più adatto per questa tecnologia, perché di intelligenza c’è ben poco.
Noi l’avremmo chiamata E.D.O.D. cioè “elaborazione dati on demand“, infatti qualsiasi cosa si vuole tirare fuori da questa tecnologia (immagini, video, fotomontaggi, filmati di fantasia, testi ecc.) occorre comunque fornire delle precise indicazioni testuali o analoghi file precedenti da rielaborare secondo l’enorme bagaglio di dati informatici detenuto dalla rete. In pratica l’intelligenza all’opera è sempre quella umana che da alla “macchina” gli input giusti per generare qualcosa di nuovo ma sempre in base ai software già presenti in rete e nei pc di tutti gli utenti del mondo. Il lavoro che fa dunque l’AI è quello di frullare a caso i dati della “memoria globale” in base alle precise indicazioni fornite dall’uomo secondo i metodi digitali (software) creati dall’uomo stesso e dalla sua intelligenza.
Quindi “artificiale” sì, ma “intelligenza” non proprio … ma volete mettere la banalità dell’acronimo EDOD con il fascino mediatico di un appellativo come quello di “intelligenza artificiale“?
Anche i neologismi certe volte hanno un “perché” oscuro nascosto dietro una nomenclatura apparentemente conveniente.