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L’evoluzione della scemenza

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Uno studio interessante è stato segnalato in un articolo de “ilfattoquotidiano.it” della fine dello scorso mese di marzo 2021. Nel pezzo giornalistico si parla del celebre “effetto Flynn” che indica un aumento del livello medio d’intelligenza nella popolazione umana per gran parte del secolo scorso. Il ricercatore americano James R. Flynn (morto a dicembre dello scorso anno) stabilì che il miglioramento del Q.I. (quoziente d’intelligenza) è strettamente connesso all’ambiente (anche sociale e intellettuale) e alle difficoltà di sopravvivenza.

Ma nel 2016 uno studio più recente ha invece rilevato che il Q.I. della popolazione dagli inizi degli anni 2000, e soprattutto successivamente al 2009, ha iniziato lentamente ma inesorabilmente a calare.

Nell’articolo si legge addirittura: “si tratta di un calo costante che, oggi, è diventato vero e propro tracollo, se pensiamo alla percentuale di persone afflitte dal cosiddetto analfabetismo funzionale (sanno leggere, ma non capiscono il senso né sono in grado di rielaborarlo e spiegarlo)“.

Ovviamente rilevato il fenomeno si tenta subito di ricercarne le cause. Striscia la Protesta, che senza alcuno specifico studio al riguardo ma basandosi esclusivamente su deduzioni istintive venute fuori da oltre 10 anni di “esperienza in campo sociale”, è giunta già da tempo (basta leggere i vecchi specifici articoli sul blog) alle stesse identiche conclusioni dei ricercatori americani: la responsabilità principale è da attribuire alla comparsa delle nuove tecnologie digitali che rappresentano “un potentissimo e pervasivo elemento di degradazione delle facoltà cognitive, emotive e relazionali” specialmente per le nuove generazioni.

E nel concetto di “tecnologie digitali” (cellulari, tablet, internet, pc, app di comunicazione ecc. ecc.) occorre inserire soprattutto i “social“, specialmente quelli che puntano meno sul costruttivo dialogo tra gli utenti e molto più sull’effimero “successo” derivante da banali performance visive o sintetiche battute ironiche, spesso demenziali se non bullistiche, che evidenziano, proprio per la loro “necessaria” stringatezza (imposta da un social in particolare) solo la punta dell’iceberg concettuale e non il costrutto mentale che ne sta alla base. Come dire: nell’era della comunicazione non si riesce a comunicare perché non si riesce a pensare correttamente tendendo piuttosto a sopraffare il prossimo in un continuo ripetersi di INUTILI sfide per dimostrare di essere i più bravi. Atro che dialogo e intelligenza nei rapporti interpersonali!

Nell’articolo si legge ancora: “Laddove il libro favoriva una concentrazione duratura e creativa, Internet incoraggia la rapidità, il campionamento distratto di piccoli frammenti d’informazioni provenienti da fonti diverse. Un’evoluzione che ci rende più che mai dipendenti dalle macchine, assuefatti alla connessione, incapaci di procurarci un’informazione senza l’aiuto di un motore di ricerca, dotati di una memoria difettosa e alla fine più vulnerabili a manipolazioni di ogni sorta”.

Vi è capitato mai di non trovare la parola giusta o il nome di qualcuno “che avete sulla punta della lingua“? In questo caso come avete risolto il problema? Ovviamente cercando su Google. La nostra memoria sembra non servire più, e la nostra intelligenza sembra dipendere sempre più da quella artificiale degli algoritmi di internet … ecco perché STIAMO DIVENTANDO SEMPRE PIU’ SCEMI (qualcuno commenterà di certo: “pensa per te, perché lo scemo sei tu”).

In tutto questo sfacelo ci si mettono pure le ormai celebri “startup” che in massima parte lavorano sul potenziamento dell’intelligenza artificiale, spingendo le istituzioni a spendere cifre astronomiche al riguardo. Ma ciò che dovrebbe essere studiato di più dovrebbe essere invece il potenziamento della formazione cognitiva dell’umanità la cui intelligenza sta finendo per risultare solo una piccola componente della crescente ascesa dei robot.

 

Autore dell'articolo: Sergio Figuccia

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