I media e la stampa in genere tendono istituzionalmente ad amplificare qualsiasi notizia pur di riempire le pagine dei propri giornali o i tempi dei servizi sui tg.
Talvolta la cosa non risulta particolarmente scandalosa, la si accetta magari con un minimo di disappunto, legato probabilmente al fastidio di dover sentire sempre le stesse cose intorno ad un evento, proprio come quando si sta ad ascoltare un vecchio rimbambito dalla demenza senile.
Altre volte invece il disagio sembra quasi prendere corpo; è negli occhi di tutti l’oltraggiante battage mediatico avvenuto per i casi degli assassini di Yara Gambirasio, Sarah Scazzi, Meredith Kercher, Chiara Poggi ecc. ecc., tutti casi di cronaca nera divenuti, nel corso del tempo, un inutile susseguirsi di: “approfondimenti della notizia”, “servizi speciali”, “scoop dell’ultima ora”, “processi in diretta” ecc. che hanno “arricchito” i palinsesti televisivi e le pagine di riviste e quotidiani nel recente passato.
Il rispetto per la morte di un essere umano non viene più tenuto nella minima considerazione.
Ma l’assurdo si genera quando, nel contemporaneo silenzio manifestato ovviamente nei confronti di migliaia e migliaia di morti quotidiane anonime perché non legate a fatti delittuosi o riguardanti personaggi ritenuti “importanti” (sarebbe impossibile anche solo elencarne i nominativi), si celebrano invece mediaticamente i trapassi di protagonisti della cronaca (buoni o cattivi per i media non ha alcuna importanza).
Passi pure che si parli abbondantemente della morte di un “Premio Nobel”, di un benefattore dell’umanità, di un celebre artista o di uno statista che ha fatto la storia, ma determina pubblica ripugnanza la notizia accompagnata da un “coccodrillo” (n.d.a: nel giornalismo, il coccodrillo è una specie di necrologio sotto forma di servizio televisivo, radiofonico o di giornale) di oltre dieci minuti, sui trenta di un telegiornale, o di una pagina intera di un quotidiano, quando si parla di certi morti che di sicuro non hanno lasciato dei buoni ricordi sulla terra.
Proprio in questi giorni TUTTI i tg della rai hanno “celebrato” ad esempio il decesso di licio gelli con servizi giornalistici (o pseudo tali) di 10/15 minuti ciascuno per ogni telegiornale ed un uso abbondantissimo degli epiteti “grande maestro”, “venerabile”, “nobil’uomo”, ecc. ecc., certamente più adatti a Gesù Cristo che non ad un qualunque essere mortale. Anche se la massoneria utilizza questo linguaggio (la sindrome psichica che ad un certo punto li fa ritenere paragonabili a Dio, è una patologia di esaltazione mentale che andrebbe curata, ma resta pur sempre una problematica che non ci riguarda), non è però eticamente corretto da parte dei giornalisti scimmiottare queste espressioni che, ripetute “a tempesta” sulle reti pubbliche all’interno di servizi televisivi sproporzionati all’evento, rischiano di concedere un “carisma” istituzionale e collettivo ad un personaggio come gelli che avrebbe meritato invece appena un comunicato di poche stringate parole.
Ma gelli non è il solo caso di “bestemmia giornalistica”; sono noti infatti i lunghi servizi dei tg nazionali sui boss della malavita ricoverati in ospedale o trasferiti da un carcere ad un altro …. Ma alla gente onesta e al Popolo, cosa gliene ne può fregare? E anche in questi casi c’è l’utilizzo delle “parolette magiche”: “il potente capo della cosca”, “il venerato boss dominante”, “il capo dei capi”, un modo alternativo e subliminale di “onorare” i personaggi della mala rispetto agli “inchini” nelle processioni religiose.
Ma ditemi sinceramente:
Nel caso della morte di gelli, vedete qualche differenza fra questi “geni” del giornalismo nostrano e i familiari di vittorio casamonica? Non hanno fatto tutti la stessa “cerimonia” ostentativa in onore del defunto come fosse un panegirico funebre? Almeno i casamonica celebravano la morte di un loro parente, ma la incredibile deferenza manifestata dai “giornalisti” per un individuo (morto peraltro a 96 anni) del quale è meglio ometterne le “gesta” terrene certamente non umanitarie o filantropiche, cosa potrebbe nascondere?
C’è una enorme differenza fra “dovere di cronaca” e “ruffianeria mediatica“, almeno nei tempi, negli spazi e nell’eloquio dedicati all’evento della morte.