La nostra società è vittima sacrificale di un modello di vita che è stato imposto dal capitalismo sfrenato che caratterizza l’era moderna.
La principale strategia adottata è stata quella di legare la felicità al possesso di beni materiali, non è da meno però anche la tattica meno appariscente che vuole far corrispondere il massimo delle gratificazioni personali alla più sfrenata competitività.
Ognuno di noi così dev’essere capace di prodursi in performance “stellari”, di dimostrare la propria superiorità nei confronti del resto del mondo, anche se non è in possesso del benché minimo talento per poterlo fare. E questa ossessione viene alimentata dall’intero sistema sociale; la smania per il benessere, la ricerca ossessiva del successo e della visibilità (su media e social), gli stessi corsi motivazionali che gasano i dipendenti e i collaboratori delle aziende che cercano sempre più “cani da combattimento” piuttosto che tranquilli e onesti lavoratori fedeli.
Nel libro “La società della performance” di Maura Gancitano e Andrea Colamedici, viene evidenziato che la società di oggi ci impone certi modelli e pretende che ognuno di noi si impegni al massimo per ottenere il più irrangiungibile di essi legando questo utopistico (e stupido) traguardo al raggiungimento della felicità.
Ma il torto è anche di chi corre dietro a queste idiozie destabilizzanti. La nostra è la società “delle sfide e delle scommesse“, avete notato quante volte ripetono questa odiosa frase i politici italiani, e purtroppo anche il Presidente Mattarella?
Non si può pensare, come fosse un mantra, che il nostro futuro debba essere improntato solo sulla continua competizione di tutti contro tutti; i nostri giovani con questo concetto folle e aggressivo rischiano seriamente di avvelenarsi l’avvenire senza un momento di serenità che invece dovrebbe costituire il massimo delle aspirazioni per qualsiasi essere umano.
Lasciamo la velocità e le performance agli “schizzati“, ormai per loro non c’è più speranza, non sarà mai questa la felicità, costituirà piuttosto l’angoscia di non riuscire mai a raggiungere un qualsiasi appagamento.