Visite: 376
Perché proprio “Selfymondo”? E non, ad esempio, Cybermondo, Mondo virtuale, Mondo digitale, Cyberspazio, Simulmondo, e così via?
Tanto per cominciare, questa sfilza di termini ci dà già l’idea che parliamo di dimensioni e ambienti – e di parole che tentano di nominarli e di concettualizzarli – la cui precisione semantica risulta debole e fluttuante. E l’alone di significato si espande in modo variabile in rapporto al punto di vista soggettivo di chi legge.
Questo non deve stupirci, parliamo infatti di esperienze delocalizzate rispetto alle mappe del reale e alle modalità di relazione con il mondo consolidate attraverso migliaia di anni e centinaia di generazioni. Che manchino le parole esatte e unanimamente condivise si può capire. Anche perché l’eterogeneita’ estrema e poliedrica delle esperienze e dei vissuti nel selfymondo è tale da obbligarci ad una certa approssimazione.
Allora perché proprio “selfymondo”? A qualcuno potrebbe apparire risibile indicare spazi virtuali e digitali così estesi e polimorfi a partire dal semplice ed essenziale atto del selfarsi e del postare la propria immagine in Rete. Eppure questo gesto elementare ed ubiquo è divenuto prototipico di un certo rapporto col mondo e con noi dentro il mondo, inaugurato dalle tecnologie dell’immagine, che hanno reso il mondo e la realtà riproducibili, e poi dai media digitali e dalla Rete che hanno dato a tali riproduzioni il carattere della condivisibilita’ immediata, totale, universale.
Non è poco. Anzi. Ti scasina tutti i parametri basici dell’esperienza: tempo, spazio, relazione; tutte le gerarchie e i valori del mondo, visto che adesso sei tu al centro di questo nuovo selfymondo e il tuo potere decisionale appare infinito.
Non ti piace Conte, detesti Draghi, non sopporti la Meloni? Sei un no-vax convinto, hai raccolto un sacco di prove a sfavore dei vaccini, sei sicuro che il siero magico sia uno schifo, oppure sei un pro-vax allineato alla scienza, non tolleri le bufale, hai provato istinti omicidi verso chi deride le vaccinazioni? Bene, non hai che da selfare la tua insofferenza e postare le tue idee in Rete dove troverai schiere di simili ma anche di avversari ma, soprattutto, il tuo pensiero, adesso condiviso e interconnesso, ti procurerà una gratificazione unica e ineffabile.
Perché quando entriamo nel Selfymondo il nostro senso di autoefficacia virtuale viene potenziato grandemente, per il semplice fatto di far parte di questo straordinario universo e di avere contribuito ad arricchirlo (?) e per il consenso che eventualmente avremo, fonte di un rinfrancante ristoro narcisistico. Il mondo mediatico, sia quello dei media verticali tradizionali, sia quello orizzontale della Rete e dei Social, ha così trasformato il mondo nella sua rappresentazione, dove questa rappresentazione assume più valore e pregnanza del mondo così com’è, ossia come lo possiamo sperimentare direttamente e personalmente, senza l’intermediazione di dispositivi o apparati per riprodurlo e rappresentarlo.
Ma le copie digitali, di noi o del mondo, per quanto fedeli (e non sempre lo sono), sono sempre parziali, esprimono sempre momenti e prospettive limitati, non colgono l’insieme complesso e dinamico dei fenomeni, riducono i significati, sclerotizzano le interpretazioni.
La rappresentazione selfata istantaneizza e particolarizza, abbellisce o enfatizza le negatività (se questo vogliamo raffigurare) ma in ogni caso frammenta un sistema integrato (sia che si tratti di noi, sia di un pezzo del mondo) così come un tassello di un puzzle – per quanto mirabile – può dare solo un idea spezzettata e riduttiva dell’integrità che vorrebbe rappresentare: è così che l’inferno puo’ apparire paradiso – e viceversa – e gli opposti si mescolano in un intreccio confusivo e ambiguo. Forse è per questo che nel Selfymondo dovremmo sempre fare un lavoro critico e complicato alla ricerca della verità, autenticità, sincerità, affidabilità. Ma in un mondo che privilegia la rappresentazione di se stesso, questa ricerca diviene sempre più difficile, perché la potenza del Selfie risiede proprio nel fatto che la sua perfezione estetica virtuale non venga mai posta in discussione e che la rappresentazione del reale lo sostituisca perfettamente.